Scena del crimine

"Corri, è acido", così "purificavano" gli amanti di Martina

Martina Levato e Alexander Boettcher vennero considerati colpevoli di tre aggressioni con l'acido. Così attuarono il folle piano per "purificare" i rapporti che la ragazza aveva avuto con altri uomini

"Corri, è acido", così "purificavano" gli amanti di Martina

Era il 28 dicembre del 2014 quando Pietro Barbini venne attirato in un agguato. Qualcuno lo sorprese alle spalle e gli gettò addosso del liquido. Poco dopo la terribile scoperta: "Corri papà, è acido". Fu questa l'aggressione che smascherò Martina Levato e Alexander Boettcher, diventati tristemente noti con il nome di "coppia dell'acido" e ritenuti colpevoli, con la complicità di Andrea Magnani, di lesioni aggravate ai danni di alcuni ragazzi. "La coppia aveva deciso di punire e purificare ogni rapporto della Levato con altri uomini", scriveranno i giudici in una delle sentenze che condannerà i tre, specificando il folle piano purificatorio nascosto dietro le aggressioni.

"Corri papà, è acido"

La sera del 28 dicembre del 2014 Pietro Barbini era appena tornato da una vacanza in montagna insieme alla famiglia. Negli ultimi giorni aveva ricevuto diverse telefonate da un corriere che sosteneva di avere un pacco proveniente da Parigi da consegnargli. Quella sera, Pietro doveva andare a ritirarlo in via Giulio Carcano, alla periferia Sud di Milano, e chiese al padre di accompagnarlo, forse proprio perché non del tutto convinto da quelle strane telefonate. Per questo, dopo aver lasciato la madre e la sorella a casa, padre e figlio si avviarono verso la via comunicata. Una volta arrivati all'indirizzo stabilito, il giovane scese dall'auto e andò al numero civico indicato, cercando sul citofono qualche riferimento della ditta di spedizione, mentre il padre parcheggiava la macchina.

A un certo punto qualcuno lo sorprese alle spalle e gli lanciò un liquido, che lo colpì in pieno volto, al torace e agli arti. Il padre, che aveva assistito alla scena, corse in soccorso del figlio ed entrambi si misero a correre per sfuggire all'agguato. Prima di scendere dall'auto, Pietro aveva messo in tasca il cellulare che la madre aveva dimenticato e senza rendersene conto aveva avviato la funzione di registratore, catturando quei drammatici momenti. "Corri papà, non so cosa sia", disse Pietro al padre in un primo istante, salvo poi rendersi conto della terribile verità: "Corri papà, è acido", sentenziò il ragazzo, come testimonia l'audio registrato dal telefono.

Non contento, uno degli aggressori di Pietro lo inseguì brandendo un martello. Mentre invocavano aiuto, padre e figlio decisero di affrontare l'uomo e lo immobilizzarono. Nel frattempo alla questura di Milano era arrivata una chiamata per una richiesta di soccorso in via Carcano. Così, quando la volante arrivò sul posto, vide un uomo bloccato a terra con in mano un martello. Era Alexander Boettcher, che venne portato in questura e interrogato. L'altro aggressore, quello che aveva lanciato l'acido, era sparito. Pietro venne portato immediatamente ai grandi ustionati del Niguarda, in gravissime condizioni.

Ma per quale motivo Alexander Boettcher avrebbe dovuto tendere una trappola a Pietro? I due ragazzi non si conoscevano e sembrava che nulla potesse collegarli. In comune non avevano niente. Tranne una donna, conosciuta da entrambi. Si trattava di Martina Levato, all'epoca fidanzata di Alexander che aveva frequentato anche Pietro. Convocata in questura, la giovane fornì un alibi per quella notte, dicendo di essere stata a casa dell'amico Andrea: "Così, il Magnani entra per la prima volta in scena", ricordano i giudici nella sentenza pronunciata dal tribunale di Milano nel gennaio 2016. Il padre di Pietro riconobbe Levato come la persona che aveva gettato l'acido addosso al figlio. Nel frattempo, nel corso degli accertamenti della procura di Milano, emerse un altro caso simile avvenuto solo poche settimane prima.

Un'altra aggressione

Martina Levato nel 2015

Venne così alla luce una seconda aggressione, risalente a poco più di un mese prima di quella ai danni di Pietro Barbini. Era il pomeriggio del 15 novembre. Giuliano Carparelli era appena tornato dall'estero. Quel giorno pioveva e, prima di uscire di casa, verso le 14.30, il ragazzo prese un ombrello. Nei giorni precedenti l'aggressione Giuliano venne informato che in Italia lo stava cercando un certo giudice Boselli, "che doveva inoltrargli una raccomandata di notifica di atti giudiziari". Il 15 novembre, "nell'uscire dal portone - racconterà Giuliano, come riportato nel verbale di polizia citato in sentenza - notavo sulla sinistra una donna", con il naso coperto da cerotti bianchi e che "alla mia vista, apriva un contenitore tipo shaker giallo fluo, rovesciando il liquido di colore rosso scuro e oleoso alla mia persona, non riuscendo però a colpirmi in quanto con prontezza riuscivo a proteggermi con l'ombrello".

A quel punto la donna si diede alla fuga, ma Carparelli le corse dietro per chiederle spiegazioni in merito al suo gesto e la raggiunse proprio mentre stava per salire su un'automobile. Questa volta, la sua assalitrice spruzzò verso Giuliano uno spray urticante, mentre un suo complice alle spalle faceva altrettanto. "Io - raccontò Giuliano - temendo il peggio e percependo un forte bruciore al collo e alla parte destra del volto, iniziavo a correre cercando riparo". Ma anche questa volta il complice inseguì la vittima. Carparelli infatti era riuscito a fotografare, con il suo cellulare, il numero di targa dell'automobile sulla quale stava salendo la donna. Nella fuga però il ragazzo cadde a terra, lasciando scivolare il telefono, prontamente recuperato dall'uomo che lo inseguiva e che poi scappò. Giuliano, però, ricordava parzialmente la targa. Per precauzione, nei giorni seguenti, il ragazzo si fece ospitare da un amico e poco dopo lasciò l'Italia.

Ma dopo l'aggressione a Barbini, Carparelli ritornò in Italia e tutti i pezzi del puzzle iniziarono ad andare a posto. Gli inquirenti scoprirono che il modello e la targa dell'automobile che Giuliano aveva visto il giorno dell'aggressione corrispondevano a quella di Andrea Magnani, il ragazzo che la Levato aveva chiamato in causa per giustificare i suoi movimenti della sera dell'aggressione a Barbini. Inoltre Giuliano riconobbe Martina e Alexander come i suoi aggressori, oltre ai cerotti bianchi che la ragazza sotto casa aveva sul naso e alle bombolette spray usate contro di lui e ritrovate nel corso di una perquisizione a casa di Boettcher e Levato. Magnani confessò le telefonate fatte per far cadere Carparelli nella trappola e riferì "che in data 13/14 novembre aveva acquistato dell'acido, come richiesto da Boettcher". Ma durante i giorni passati a cercare informazioni sull'uomo, un'altra vittima finì, per errore, nel mirino della "coppia dell'acido".

Lo scambio di persona

Per cercare Carparelli e scoprire il luogo della sua abitazione, i tre ragazzi si erano recati in una discoteca milanese, dove Martina aveva incontrato Giuliano tempo prima. La ragazza individuò una persona e il trio iniziò a seguire i suoi passi e a pianificare l'agguato. La terza vittima fu Stefano Savi, 25 anni. Erano circa le 5.30 di mattina del 2 novembre del 2014. Il ragazzo era appena tornato da una serata in discoteca. Era sceso dalla macchina per aprire il cancello ma, poco prima di risalire sull'auto, venne sorpreso da una persona, che gli lanciò una "sostanza liquida sul volto per poi allontanarsi".

La sentenza ricorda che la svolta sul caso Savi avvenne il 2 febbraio 2015, grazie al Magnani, che dichiarò: "La sera del 1 novembre verso le 4 del mattino, loro mi chiamarono telefonicamente e appresi che erano sotto casa mia". I tre, insieme, si recarono in macchina "verso la zona di via Novara, ospedale San Carlo. Davanti all'ospedale girammo in una via che rammento si chiamava via Postumia. Nel tragitto mi dissero di essere sempre alla ricerca del ragazzo che avevano cercato insieme al Divina (la discoteca milanese dove cercavano Giuliano, n.d.r)". A quel punto Martina scese dall'auto e si diresse verso la via privata Quarto Cagnino. "Dopo un po' che aspettavamo la vedemmo tornare, aveva il fiatone proprio come se avesse corso per un breve tragitto". Poi, insieme, risalirono in automobile e si allontanarono. Magnini ricordò che, durante il tragitto, ad Alexander e Martina venne il sospetto di aver sbagliato persona: "Si somigliavano di viso a quello che cercavano, ma non era lui".

Stefano infatti assomiglia in modo impressionante a Giuliano. Si trattò, quindi, di un tragico scambio di persona: "Volendo colpire il Carparelli Giuliano - si legge nella sentenza - per errore di persona cagionavano lesioni personali gravi e gravissime a Savi Stefano". Il ragazzo cercato dal trio era, infatti, Carparelli. Ma la sera in cui si recano nella discoteca dove Martina e Giuliano si erano conosciuti, c'era Stefano e, vedendolo, la Levato lo scambiò per Giuliano.

Il tentativo di evirazione

Oltre alle aggressioni con l'acido, emerse anche un tentativo di evirazione ai danni di Antonio Margarito. Era il 20 maggio del 2014. Poco dopo le 23.15, la polizia ricevette una richiesta di intervento al Quark Hotel di Milano, dove un uomo si era presentato con una ferita alla mano, raccontando l'aggressione. Margarito ricordò di essere stato contattato da Martina Levato, una giovane che aveva conosciuto precedentemente, che gli aveva chiesto di rivederlo.

Una volta incontratisi, l'uomo era salito sulla macchina di Martina, che lo aveva condotto in un luogo appartato nel parcheggio dell'hotel milanese, "per poi ivi sedersi con la vittima sul sedile posteriore dell'auto a due porte, appositamente per impedirgli la fuga mentre lo colpiva". La vittima, si legge nella sentenza, "dopo essersi abbassato i pantaloni, seduto sul sedile posteriore dell'auto della Levato che iniziava a masturbarlo, quindi gli chiedeva di chiudere gli occhi facendogli credere di volergli praticare un rapporto sessuale orale, per colpirlo invece con un coltello nascosto nell'auto - si proteggeva con la mano dalle coltellate".

L'uomo dapprima chiuse gli occhi, "ma poi per istinto li riapriva e poteva notare che la ragazza brandiva un coltello e che lo stava per dirigere pericolosamente sul suo pene". Dopo essersi difeso, procurandosi diverse ferite, Margarito riuscì a uscire dalla macchina e scappò. Martina nel frattempo chiamò i soccorsi, riferendo una storia di violenza sessuale e incolpando l'uomo, anche per fatti risalenti all'estate precedente. Le indagini però mostrarono l'invio "nei giorni immediatamente precedenti, dei messaggi Whatsapp, ovvero tramite il social network Facebook" e telefonate alla vittima per chiedergli un appuntamento ed attirarlo nell'agguato", segno di una premeditazione del tentativo di evirazione.

Un atto di "purificazione"

Alexander Boettcher nel 2015

Ma qual è il filo rosso che unisce tutte le aggressioni? Gli inquirenti lo trovarono in Martina Levato, conoscenza comune a tutti, a eccezione di Savi, che fu infatti vittima di uno scambio di persona. Gli altri tre ragazzi avevano intrattenuto con Martina brevi relazioni o semplici scambi di effusioni: Pietro aveva frequentato il liceo Parini come la donna e con lei aveva avuto una breve frequentazione, Margarito aveva consumato con la ragazza un rapporto sessuale durante l'estate dell'anno precedente e Giuliano aveva scambiato qualche effusione con Martina una sera in discoteca.

Ma perché arrivare ad aggredire questi uomini? La risposta la diedero i giudici. "Il tutto si focalizza intorno alla relazione sentimentale venutasi a creare tra Martina Levato e Alexander Boettcher", spiega la sentenza del gennaio 2016, ricostruendo le tappe principali della relazione tra i due. Martina e Alexander si conobbero nel maggio del 2013 e, dopo una breve "frequentazione prettamente sessuale", si separarono. Così Martina iniziò a uscire con altri ragazzi nell'estate del 2013, "momento cruciale dell'intera vicenda, perché alcuni dei soggetti che la Levato frequenterà (...) diventeranno poi obiettivi degli agguati". Infatti nel mese di agosto Martina ebbe un rapporto sessuale con Antonio Margarito, che già conosceva grazie alla cerchia di amici, mentre a settembre incontrò Pietro Barbini. La conoscenza di Giuliano Carparelli invece risale al febbraio 2014. "Sullo sfondo - precisa la sentenza - rimane però sempre il Boettcher, che la donna continua a frequentare".

La situazione cambiò a fine maggio 2014, "con Boettcher che diventa più geloso". Inoltre alla coppia si aggiunse anche Andrea Magnani. Così si viene a definire il trio che metterà in atto le tre aggressioni con l'acido, ognuno con un ruolo ben preciso: Martina gettava materialmente l'acido addosso alle vittime, Alexander forniva supporto se necessario, mentre Magnani si occupava delle fasi preparatorie (telefonate) e di fornire l'auto per la fuga. Tramite il lancio di acido,"la coppia aveva deciso di punire e purificare ogni rapporto della Levato con altri uomini".

In un passaggio dell'ordinanza di custodia cautelare del 2015, il Gip precisò: "Mai si è avvertita una percezione di così intenso pericolo. Questo pericolo è il prodotto del vuoto che pervade l'animo dei tre protagonisti e che li spinge ad agire con uno sprezzo assoluto per i fondamentali valori comuni alla specie umana. Quando per un capriccio amoroso, per un'ossessione di possesso e controllo sull'altrui persona (che poi è un modo per realizzare narcisisticamente se stessi) si è disposti ad infliggere un male enorme, rimanendo indifferenti all'altrui sofferenza e alla enorme sproporzione tra ciò che spinge ad agire e ciò che si provoca, tutto diventa possibile".

La "coppia dell'acido" e l'amico vennero condannati a diverse pene e a risarcire le vittime delle aggressioni, che subirono danni gravissimi. A parte Carparelli, che riuscì a sfuggire al lancio dell'acido, Stefano Savi riportò importanti lesioni al volto, agli occhi, all'orecchio, al collo, a parte delle mani, al polso e alla coscia, mentre Pietro Barbini subì ustioni di terzo grado al volto (compreso l'occhio destro) e lesioni al torace, alle braccia, alle mani e alla gamba sinistra. Entrambi dovettero subire tantissime operazioni.

Vittime innocenti di un folle piano di "purificazione" ordito da una "coppia diabolica".

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