
In questo articolo, conviene dichiararlo subito, più che risposte ci faremo alcune domande. Tutto nasce da un ignobile post in cui un professore di un liceo augura alla figlia di Giorgia Meloni di fare la stessa fine della 14enne uccisa recentemente ad Afragola. Il professore ha chiesto scusa, ha ritrattato, ha detto che l'intelligenza artificiale gli è stata complice. Peccato che frasi simili le avesse scritte, sempre sui social, una settimana prima, senza che alcuno se ne accorgesse. Insomma non è scusabile. Si può a questo punto usare il consueto armamentario polemico: il clima di odio, i cattivi maestri, la violenza verbale di una parte della sinistra. Tutto secondo copione. E tutto vero. Ma converrebbe andare più a fondo. Se uno studente medio-orientale si augurasse, come il nostro professore campano, che gli alleati americani di Israele bruciassero all'inferno come i bimbi sotto le bombe di Gaza, ebbene quello studente potrebbe fare un application per Harvard? Secondo la nuova dottrina Trump, che vuole il controllo dei social, la vita universitaria di questo ipotetico studente sarebbe compromessa. Almeno in America. Come ogni ragazzo assennato sa, ciò che posta sulla propria bacheca social potrà un giorno essere usato contro di lui. È un tatuaggio digitale indelebile. Che sempre più direttori del personale scovano al momento di processare un curriculum per una eventuale assunzione. La domanda che ci facciamo dunque è la seguente. In uno stato liberale, chi ci governa e ci giudica quanto può usare contro di noi ciò che scriviamo nel bar dei social? Sia chiaro, il professore che augura la morte alla figlia della Meloni ha scritto una cosa disgustosa e probabilmente ci sono gli estremi per un suo licenziamento. Per una sanzione amministrativa. Ma siamo di fronte ad un grande dilemma liberale. Trump è ovviamente libero di ridurre i finanziamenti pubblici ai costosissimi college americani: in fondo si tratta solo di una riduzione dell'intervento pubblico. Ma se nega i visti di ingresso negli Stati Uniti sulla base di ciò che uno ha scritto, rischia di superare un confine: la libertà di opinione. Ma, si dirà, non abbiamo la libertà di augurare la morte a nessuno, ai soldati americani considerati complici di qualche guerra, o ai figli di un politico. Le società liberali, ce ne sono sempre meno, dovrebbero garantire il diritto all'odio, distinguendolo dalle minacce.
I social sono uno spazio, a torto ritenuto riservato, in cui la virtualità dell'odio e delle scemenze, forse dovrebbero godere di un regime nuovo di comprensione e giudizio. Siamo passati per folli agenzie contro le fake news, rischiamo di passare ad un nuovo regime di controllo delle hate news.