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La tenda rossa, Titina e un sogno incagliato tra i ghiacci

Nel maggio del 1928 il dirigibile Italia, governato dal generale Nobile alla scoperta del Polo Nord, si schianta rovinosamente sul ghiacci del pack, alla deriva nelle latitudini più inospitali della terra. Sei uomini scompariranno nel nulla. Gli altri sopravviveranno nella leggendaria "tenda rossa"

La tenda rossa, Titina e il sogno dell'"Italia" incagliato tra i ghiacci

Dopo aver a lungo sorvolato l’Artico e aver lottato con condizioni meteorologiche avverse, il dirigibile semirigido “Italia” N-4, impegnato nella spedizione lanciata della Reale Società Geografica Italiana con la collaborazione della Regia Aeronautica, era sulla via del ritorno, verso la base logistica di Ny-Ålesund, quando una progressiva perdita di potenza, dovuta a cause di natura mai accertata, lo portano al rovinoso schianto sulla sulla banchisa Artica. Circa cento chilometri a nord-est delle isole Svalbard. Era il 25 maggio del 1928.

Delle sedici anime che sono a bordo, sei scompariranno nel nulla. Rimasti intrappolati nelle sezioni del dirigibile che ospitano le celle con l'idrogeno - che rende possibile il volo attraverso la "sostentazione statica" - una volta staccatasi nell'impatto la navicella di comando con le zavorre e gran parte del peso, verrano portati via dal pallone, i loro corpi, come l'involucro dell'Italia stesso, non verranno mai più ritrovati. L'equipaggio superstite, compreso Umberto Nobile, generale della Regia Aeronautica e comandante della spedizione, riuscirà a sopravvivere rifugiandosi in una tenda da campo di colore rosso, che - insieme a una parte dei viveri, a una radio a onde corte con batterie e il necessario per il funzionamento e vari strumenti per la misurazione delle coordinate di posizione - era stata preparata per lo sbarco di una spedizione terrestre di qualche giorno. Sarà questa concessione della fortuna - seppure nella tragica fatalità - a riuscire a tenerli in vita fino all'arrivo della complicata operazione di soccorso.

L'sos e la tenda rossa

La tenda rossa

Sbalzata fuori dalla navicella di comando, fissata alla sezione inferiore del involucro del dirigibile, la radio a onde corte composta da un ricevitore inglese Burndept e da un trasmettitore della Regia Marina Militare denominato Ondina 33, affidata al marconista Giuseppe Biagi, rappresenterà gran della salvezza dei sopravvissuti. È attraverso essa che viene lanciato l'sos, il segnale universale di richiesta di soccorso, che verrà intercettato solo dopo nove giorni da un radioamatore russo che abitava al città di Arkangelesk, a oltre 1900 chilometri dalle coordinate dello schianto.

Avrà così inizio una lunga odissea. Da una parte dieci uomini che insieme alla piccola mascotte Titina, un fox terrier che accompagnava ovunque il comandante Nobile, dovranno sopravvivere nella piccola tenda rossa. Dall'altra quella della prima epica operazione internazionale di ricerca e salvataggio a cui prenderanno parte francesi, tedeschi, finlandesi, norvegesi, svedesi e russi. E che impiegherà una vastissima gamma di aerei, idrovolanti, baleniere, rompighiaccio e slitte trainate da cani husky per tagliare le desolate lande artiche e raggiungere i superstiti dell'Italia.

Le condizioni meteorologiche avverse e le coordinate mal calcolate da Nobile, che durante la rotta di rientro aveva stimato e comunicato alla nave appoggio Città di Milano, una vecchia nave posacavi riadattata all’ancore nel porto di Ny-Ålesund, la distanza di 100 miglia dalla base quando essa era almeno il doppio, non faranno che complicare e prolungare le ricerche. Che non risparmieranno la vita a nove coraggiosi - compresa quella di Roald Amudsen, compagno d'avventura di Nobile nella spedizione compiuta sul Norge, scomparso sul Mare di Barents con il suo idrovolante.

Le possibili cause dell'incidente

Le cause dell’incidente furono a lungo dibattute e a tutt’oggi non esistono teorie certe, ma solo ipotesi che però, in larga parte, accusano il comandante di una serie di negligenze che avrebbero condotto la spedizione verso il disastro. Nobile, ufficiale di lungo corso della Regia Aeronautica, sognatore inquieto ma anche ideatore dei quello stesso dirigibile, al comando della spedizione dell’Italia come di quella compiuta nel 1926 con il collega svedese Amundsen sul dirigibile Norge, non riuscì a dare a se stesso e al mondo una reale spiegazione, ma ipotizzò tre cause concomitanti: “Le incrostazioni di ghiaccio sommate ad una perdita di gas a poppa per l'apertura automatica di alcune valvole e infine la lacerazione dell'involucro dovuta alla rottura di un tubo dell’armatura”.

Umberto Nobile al rientro in Italia

Tanto sarebbe bastato a far perdere al dirigibile una quantità di gas, che dato l’aumento del peso generato dal ghiaccio che avvolgeva il dirigibile, lo avrebbero portato prima all’ingovernabilità, poi alla perdita di quota, e infine all’inevitabile schianto. Secondo l’opinione di alcuni detrattori di Nobile invece, che si fecero forti della testimonianza di membri dell’equipaggio, la causa dell'incidente doveva essere attribuita a errori di manovra di Nobile sommati alla sua volontà di apportare leggere modifiche all’aeronave, che non avrebbe in tal modo resistito alle sollecitazioni. Ciò che è stato accertato da successivi studi, condotti sulle condizioni che impedirono la comunicazione tra la tenda rossa e la nave appoggio Città di Milano, era solo ed esclusivamente la reale incapacità da parte dei superstiti di comunicare con la nave appoggio data la loro posizione. Un’altra critica avanzata nei confronti di Nobile fu quella di essersi lasciato trarre in salvo prima del suo equipaggio, contravvenendo alle consuetudini in vigore in mare, e tra gentiluomini.

Il fallimento di un sogno italiano

La tragedia del dirigibile Italia pose fine all’impiego operativo delle aeronavi da parte della Regia Aeronautica, ma pose sopratutto fine alle esplorazioni “estreme” condotte dal Regno d'Italia. Che pure ottenne da quel fallimento importanti informazioni scientifiche sulla latitudine zero e sull’impenetrabile Artico che era appena all’inizio della sua esplorazione. Poiché un secolo fa, poco e nulla si sapeva circa le fattezze, le grandezze e i segreti ivi custoditi. E in spessi casi le spedizioni che erano state tentate nella regione artica - non scientifiche ma bensì a fini commerciali, si pensi al mistero delle due bombarde britanniche la Terror e la Erebus - videro la tragedia nel loro epilogo.

Questo perché sebbene l’uomo sia spinto fin dall’alba dei tempi da inestirpabile curiosità, fatto non fu a viver come bruto, "ma per seguir virtute e canoscenza”, come recita il sommo Dante nella sua Divina Commedia; egli resta incapace per cause di forza maggiore al sopportare le rigide leggi della natura. Ciò nonostante, non ha mai rinunciato alla sfida. Poiché nulla, con l’avanzare delle tecnologia da lui creata, lo ha mai frenato nelle longitudini e latitudini, nelle profondità marine come nei cieli e financo nello spazio, a non tentare di esplorare: neppure quando si preannunciava la morte più che probabile, se non certa. Questo fallimento, come gli altri che lo precedettero, lo seguirono e lo seguiranno, ne è testimonianza.

Se vi capitasse di visitare il museo storico dell’Aeronautica presso l’idroscalo di Vigna di Valle, noterete la piccola cagnetta Titina, allerta accanto alla riproduzione della famosa “tenda rossa” dove Umberto Nobile e i suoi trascorso ben 48 giorni in attesa della salvezza.

Impagliata, essa ha lo sguardo fisso nel vuoto, ma chi le passa dinanzi, non può fare a meno di immaginare il riflesso dei ghiacci, degli azzurri immensi cieli e lo sguardo che un tempo era rivolto a uomini di un’altra epoca, che lei ha avuto l’onore di sostenere nell’umore quando la tragedia li colse dove nessuno si era spinto prima.

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