Dj Fabo, la Corte non giudica Cappato e rimanda gli atti alla Consulta

Una legge troppo vecchia davanti a valori e diritti cambiati nel tempo: i magistrati si rimettono alla Corte Costituzionale

Dj Fabo, la Corte non giudica Cappato e rimanda gli atti alla Consulta

Una legge troppo vecchia davanti a valori e diritti cambiati nel tempo. La Corte d'assise di Milano, chiamata a giudicare il radicale Marco Cappato per avere aiutato a morire Dj Fabo (ovvero il disc jockey Fabiano Antoniani) prende atto di non poter né assolvere né condannare. E, a chiusura di un processo drammatico, trasmette gli atti alla Corte Costituzionale perché, invece di Cappato, giudichi la legge.

L'articolo 580 del codice penale, quello che punisce con il carcere da cinque a dodici anni chiunque aiuti un essere umano a suicidarsi, e che veniva contestato a Cappato, è compatibile con i valori di dignità e di autodeterminazione che la Costituzione, e soprattutto la Convenzione europea dei diritti dell'Uomo, considerano inviolabili? ♀ questa la risposta che la Consulta dovrà dare. Nel frattempo, il processo si ferma.

La decisione della Corte presieduta da Ilio Mannucci è arrivata oggi al termine di una camera di consiglio non particolarmente lunga, in cui i giudici togati e i sei giurati si sono confrontati partendo da una serie di dati di fatto.

Da un lato c'era la chiara, ferrea determinazione di Antoniani a morire per mettere fine a sofferenze indicibili, dopo essere stato ridotto cieco e paralitico da un incidente stradale; c'era la confessione di Cappato, che ammetteva e anzi rivendicava di avere trasportato il disc jockey in Svizzera, nella clinica dove pochi giorni dopo, schiacciando con i denti il comando di una flebo, si sarebbe dato la morte; c'era infine il testo senza ambiguità del codice penale, che - nel suo testo attuale - non lasciava via di scampo all'imputato.

Nella loro accorata requisitoria, i pm Tiziana Siciliano e Sara Arduini avevano chiesto alla Corte d'assise di assolvere Cappato, interpretando l'articolo 580 alla luce di principi assai lontani da quelli in vigore quasi un secolo fa, quando il codice penale è stato scritto. Se allora, hanno sostenuto, prevaleva il diritto e quasi l'obbligo alla vita in tutte le sue manifestazioni e anche nelle condizioni più dure, oggi il diritto alla dignità prevale: e se una vita non è degna di essere vissuta, allora il diritto al suicidio deve essere reso praticabile in concreto, rendendo non punibile chi si adopera per aiutare a morire chi (come nel caso di Dj Fabo) non è in grado di togliersi la vita da solo.

Era una interpretazione ardita, che chiedeva ai giudici milanesi di modificare di fatto la legge in un terreno controverso e delicato come quello del fine vita. Gli stessi pm erano consapevoli di richiedere alla Corte d'assise una scelta innovativa e coraggiosa. E così avevano indicato come "piano B" quello imboccato oggi pomeriggio dai giudici: sospendere il giudizio, e lasciare alla Corte Costituzionale il compito di reinterpretare, e se del caso modificare, la legge.

Ora la parola alla

Consulta, cui - come già in passato in altri casi - tocca il compito di adeguare ai tempi leggi ormai sorpassate. Un compito che dovrebbe spettare al Parlamento, ma che finora non ha su questo terreno trovato risposte adeguate.

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