Ecologisti rossi a spese nostre

Ecologisti rossi a spese nostre

È famosa la citazione di Georges Clemenceau «la guerra è cosa troppo seria per lasciarla ai militari». Prendendo ispirazione dall'uomo politico francese e arguto battutista, potremmo dire, soprattutto dopo aver visto ciò che è accaduto a Venezia, che «l'ambiente è cosa troppo seria per lasciarlo agli ecologisti». Non vorremmo infatti che passasse l'idea secondo la quale il disastro idrogeologico di Venezia, e di moltissime altre nostre città e campagna e montagne, sia dovuto a una politica biecamente industrialista, votata alla distruzione deliberata dei territori. Questa c'è stata, certo, ma è finita negli anni Novanta e da allora qualsiasi progetto di grande respiro per la cura del territorio e delle città è stato bloccato oppure talmente rallentato da renderlo obsoleto al momento della sua entrata in vigore. Molte sono le responsabilità, e non poche quelle degli ecologisti o ambientalisti, sia nella versione dei Verdi, che sempre hanno governato con la sinistra, sia in quella decrescita felice (secondo loro) dei 5 stelle. I Verdi e i 5 stelle hanno infatti sempre impedito qualsiasi intervento di vasto respiro sui territori, cavalcando politicamente le proteste, portando le persone in piazza quando non a bloccare i cantieri. La storia della Tav è recente ma quello della variante di valico, negli anni Novanta, vide in prima linea i Verdi.

È arrivato perciò il momento di dire che l'ecologismo, fino a oggi appannaggio della sinistra, è fallito. E che la destra, i moderati, i liberali e nazional-conservatori, hanno la stessa legittimità di considerarsi difensori dell'ambiente. Anzi, vantano più crediti dei progressisti: nelle parole di lord Roger Scruton, il massimo filosofo conservatore vivente, nessuno dovrebbe tutelare più l'ambiente dei conservatori, perché la difesa del luogo (oikos) è fondato su tre punti cardine del conservatorismo: il legame tra generazioni e tra i vivi, i morti e quelli che devono nascere; la priorità del locale; la difesa della casa, Oikophilia. Purtroppo i partiti conservatori e di destra, più attenti allo sviluppo di quelli di sinistra, hanno spesso sottovalutato l'ambiente, lasciandolo al monopolio della sinistra. Ma si è trattato di un grosso errore, che è tempo di recuperare.

Certo l'ambientalismo conservatore dovrà essere diverso da quello di sinistra. Quello dei Verdi italiani e dei 5 stelle è fondato sulla inazione, sul non fare, sul blocco dello sviluppo, quello conservatore deve invece reggersi sull'intervento, deve sapere che la cura (concetto fondamentale per un conservatore) è possibile solo se l'uomo modifica il territorio, perché non facendo nulla questo è destinato a distruggersi, come si vede a Venezia. Quindi il conservatore è favorevole al Mose, e a tutti gli interventi di simile carattere. Il conservatore abbandona poi la postura apocalittica e fanatica dell'ecologismo di sinistra, che spesso adotta posizioni talmente radicali da farlo sembrare un nuovo totalitarismo. Il conservatore non crede quindi nel riscaldamento globale come a un feticcio da brandire contro l'avversario politico. Anche perché questa mentalità apocalittica conduce, ancora una volta, all'inazione. Non a caso in questi giorni, sempre sulla vicenda del Mose, abbiamo assistito al ritorno del benaltrismo di sessantottesca memoria: inutile completare l'opera, hanno detto alcuni ecologisti, se prima non si combatte il «global warming».

Ma nel frattempo, Venezia non esisterà più. E siccome nessuno, a maggior ragione se conservatore, lo vuole, sarà bene che il nuovo destra-centro si attrezzi: e capisca che essere di destra vuol dire (anche) essere ambientalisti.

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