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Il "fattore k" salva dal contagio. Ecco chi sono i "non untori"

È quello che gli scienziati chiamano fattore di dispersione. Questo valore descrive quanto una malattia si aggrega in gruppi, grappoli o accumuli detti in inglese “cluster”

Il "fattore k" salva dal contagio. Ecco chi sono i "non untori"

La strategia delle tre T per combattere il valore K. Ovvero testare, tracciare e trattare per incidere su quello che gli scienziati chiamano “fattore di dispersione”. Quest’ultimo elemento descrive quanto una malattia si aggrega in gruppi, grappoli o accumuli detti con il termine inglese “cluster”. La comunità scientifica ha scoperto che le caratteristiche del coronavirus ci hanno mostrato come una piccola percentuale di individui sia responsabile di un gran numero di contagi, ma molte persone non infettano per nulla. Quindi i focolai potrebbero essere estinti attraverso il controllo dei casi a rischio e dei luoghi.

Il fattore K

Come riporta un articolo di Science, oltre al tasso di contagiosità del virus, ossia il valore Ro, gli scienziati usano il fattore di dispersione. Più basso è questo valore, più la trasmissione arriva da un ristretto numero di individui. Secondo le stime, il fattore K per il Covid-19 sarebbe uguale a 0,1, in cui il 10% dei casi porta all’80% della diffusione. Per fare un paragone con altre epidemie, nella Sars K era pari a 0,16, per Mers era di circa 0,25, mentre per la pandemia di influenze del 1918 il valore era di uno.

Se K per SARS-CoV-2 fosse realmente 0,1 significa che la gran parte delle catene di infezione scompaiono da sole e il coronavirus dovrebbe essere diffuso in un nuovo Stato almeno 4 volte per avere possibilità di diffondersi in modo omogeneo.

Ambiti più rischiosi

Ci sono diverse situazioni in cui il rischio di contrarre il Covid-19 è maggiore. Basti pensare agli impianti di confezionamento della carne, in cui molte persone lavorano vicinissime tra loro in spazi caratterizzati da basse temperature, che permettono al virus di sopravvivere. Anche il rumore gioca un ruolo importante in questi luoghi. Altri cluster da tenere in considerazione sono le cerimonie religiose. Non bisogna poi dimenticare la tempestività perché i pazienti affetti da coronavirus sono molto contagiosi per un limitato periodo di tempo, come accertato da varie prove.

Le difficoltà di individuare i cluster

La difficoltà per i sanitari è capire dove si sono verificati i cluster allo scopo di prevenirli. Un compito arduo in quanto alcuni focolai, come quello delle carceri, hanno un grande rimbombo mediatico mentre l’ambito familiare rimane nascosto.

Inoltre, è più facile che le persone si ricordino di essere stati a un concerto piuttosto che pensino di essere state infettate dal parrucchiere. C'è poi un problema di non poco conto come la privacy perché esaminare i legami tra i pazienti può portare a informazioni sulla loro vita privata.

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