Guerra in Ucraina

Feluche, toghe e barbe finte

Siamo tra i Paesi occidentali che si sono mostrati più solidali con l'Ucraina e ci vuole poco per rendersi conto che la nuova cortina di ferro non passa poi così distante da noi.

Feluche, toghe e barbe finte

Premessa: il 16 luglio, per primi, aprimmo Il Giornale con il titolo fortunato «Ombre russe sulla crisi». Non bisogna essere dei Pico della Mirandola per intuire che con una crisi internazionale di queste proporzioni gli occhi del mondo sono puntati da mesi anche su di noi: siamo tra i Paesi occidentali che si sono mostrati più solidali con l'Ucraina e, visto che siamo tornati indietro di sessant'anni, ci vuole poco per rendersi conto che la nuova cortina di ferro non passa poi così distante da noi. Quindi ci attenzionano da Mosca, ma non solo. Motivo per cui bisogna muoversi con i piedi di piombo nelle congetture e nelle suggestioni. Altrimenti si rischia che questa campagna elettorale, già avvelenata di suo, sia condizionata da feluche straniere, barbe finte e immancabili toghe italiane.

Ora, tirare in ballo Matteo Salvini su Putin e sulla Russia purtroppo è diventato uno sport nazionale. La Stampa ieri ha scritto di un documento di intelligence che racconta l'aneddoto di un funzionario dell'ambasciata russa che durante i giorni della crisi avrebbe chiesto ad un personaggio che passa per essere un collaboratore del leader del Carroccio se la Lega fosse intenzionata a ritirare i suoi ministri dal governo. Il capo dei nostri servizi ha smentito l'esistenza di questa documentazione nei file degli 007 italiani. La Stampa ha confermato. Ora bisogna capire se quel dossier esiste, è attendibile e, nel caso, di quale intelligence si tratta. Se straniera o nostrana.

Il punto, però, non riguarda tanto la veridicità dei documenti, visto che in un momento del genere di «spy story» pullula il globo. Semmai, l'importante è non scambiare lucciole per lanterne per non rischiare di creare delle interferenze sul voto che in un secondo momento, conclusa la campagna elettorale, risultino del tutto false. In questo la sinistra è maestra, tant'è che ieri Enrico Letta si è presentato davanti alle telecamere per pronunciare il suo j'accuse contro Salvini, indossando i pantaloni di Le Carrè e la giacca di Ian Fleming.

La verità è che in questo caso c'è un dato che smentisce la ricostruzione degli anonimi 007: la miccia sotto il governo Draghi è stata accesa da Giuseppe Conte, cioè il personaggio che fino a tre settimane fa Letta aveva scelto come interlocutore privilegiato. Se lui non avesse messo in moto il meccanismo della crisi, avremmo ancora Draghi a Palazzo Chigi e le urne chiuse. Salvini, anche volendo, non avrebbe potuto far nulla. È un dato incontestabile per chiunque sia onesto sul piano intellettuale. Come pure non si può dimenticare che le riserve sulle armi a Kiev di Salvini si sono fermate alle parole, mentre è stato Conte a fare passi in Parlamento per chiedere al governo un cambio di rotta. E ancora: mentre la tournée a Mosca del leader della Lega si è fermata ai depliant dell'agenzia di viaggio, il Dibba che divide con Giuseppi la leadership dei pasdaran grillini ha trascorso settimane a zonzo fra Siberia e Cremlino. Quindi, se si vuol parlare di «fattore P», cioè di Putin, quello investe soprattutto Conte e non Salvini. Il primo a saperlo dovrebbe essere Luigi Di Maio se non è stato alla Farnesina solo di passaggio.

P.S. Questo non toglie che Salvini per evitare una campagna elettorale in cui si parli solo di «fascismo» o di «fattore P», non debba dire parole chiare sull'atlantismo e sull'Ucraina.

Siamo di nuovo alla guerra fredda ed è complicato, se non impossibile, andare al governo senza aver dato garanzie ai nostri alleati internazionali.

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