Guerra in Ucraina

Fine delle ambiguità

La pace è una speranza, ma non è affatto vicina. No, non dipende dalla Nato come sostengono gli amici di Putin

Fine delle ambiguità

La pace è una speranza, ma non è affatto vicina. No, non dipende dalla Nato come sostengono gli amici di Putin. La variabile fondamentale non è a Washington ma a Mosca e sì, certo, anche a Kiev, a cui però si chiede una resa incondizionata. C'è chi, anche in Italia, non riconosce questo punto di partenza e sposta le colpe della guerra al di là dell'Atlantico. Ci sono anche pezzi di maggioranza che simpatizzano con le tesi anti americane e come scudo morale si affidano a un pacifismo che ogni tanto puzza di ipocrisia. La scelta di campo dipende in gran parte dalla ricerca del consenso in territori lontani dalla linea del governo. Si sta, insomma, con Draghi ma con scorribande che di fatto ne ripudiano il lavoro. Qualcuno potrebbe chiamarlo opportunismo, altri dissenso costruttivo. Di certo sta diventando una fiera di parole, un rumore di sottofondo che finora non si è incarnato in un vero confronto politico. Tutto questo non può però durare a lungo. Se è realtà o finzione lo si capirà senza incertezza quando ci si presenterà davanti al rasoio del Parlamento. È lì, si spera, che tutti dovranno mostrare il vero volto, al di là di tattiche elettorali.

Il rasoio dovrebbe arrivare quando si voterà per dire sì all'ingresso nella Nato di Finlandia e Svezia. È il momento cruciale. Non è una scelta che il governo può fare senza rivolgersi al santuario della democrazia. Come ricorda Stefano Ceccanti, costituzionalista e deputato del Pd, questa è la prassi italiana sulle revisioni del trattato alla base dell'alleanza atlantica.

Il voto delle Camere non si può tirare troppo a lungo. È un bene, perché è arrivato il momento di assumersi le proprie responsabilità. Questo vale anche per Matteo Salvini, che vorrebbe decidere sul destino dei due Paesi Ue in tempi più lontani, per non indispettire Putin e creare così ostacoli alla pace. Solo che a Finlandia e Svezia bisogna rispondere e temporeggiare è pilatesco. Le parole che arrivano da Helsinki e Stoccolma sono nette, lineari, senza ambiguità: se ci lasciate soli saremo vulnerabili.

Il Parlamento, per fortuna, non è ancora un social network. Non si vive alla giornata. Non ha il peso delle parole consumate in ventiquattro ore. Il voto è un atto politico. È qualcosa che resta e che cambia i rapporti tra i partiti di maggioranza e il governo. È il momento della fiducia. Se non c'è più è corretto, intellettualmente onesto, andarsene. Scegliere di stare all'opposizione. Non solo. È una di quelle scelte che ti mette davanti alla storia. È il momento in cui ti tocca dire se l'Italia che hai in testa è europea e atlantica o una terra di nessuno, più o meno miope, più o meno incosciente. Devi dire alla Finlandia e alla Svezia che non ti curi dei loro timori, che per te sono solo due punti lontani sulla carta geografica.

È fare il gioco di Mosca.

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