Guerra in Ucraina

Il frutto della guerra

Voci dal Cremlino. Finalmente la nebbia si dirada su quali siano ora i reali obiettivi di Mosca

Il frutto della guerra

Voci dal Cremlino. Finalmente la nebbia si dirada su quali siano ora i reali obiettivi di Mosca. Appunto ora, perché il 24 febbraio, data di inizio della guerra, Mosca aveva ben altre intenzioni: voleva occupare Kiev, far fuori Zelensky, spaccare l'Ucraina in due e occupare tutti i territori ad est del fiume Dnepr. Le difficoltà incontrate sul piano militare, ma si dovrebbe parlare di batoste, e i costi economici della guerra hanno reso meno ambiziosi i piani di Putin. Ora lo Zar si accontenterebbe di tutti i territori del Donetsk e del Lugansk e del corridoio che collega Mariupol alla Crimea. Sarebbe pronto a trattare - almeno a parole - su Kherson e i territori intorno a Kharkiv mentre rinuncerebbe ad Odessa lasciando all'Ucraina uno sbocco al mare.

L'Ucraina filorussa, quindi, nei piani dello Zar occuperebbe poco più di un quinto dei territori di quella attuale. Questo sarebbe il frutto della guerra sanguinosa scatenata dal Cremlino. Ci sarebbe da riflettere, perché forse gli ucraini non possono ancora stilare un bollettino come quello con cui il generale Diaz annunciò la vittoria nel primo conflitto mondiale: «I resti di quello che fu uno dei più potenti eserciti del mondo risalgono in disordine e senza speranza le valli che avevano disceso con orgogliosa sicurezza». Ma, diciamoci la verità, poco ci manca. Al punto che ora il problema è se il governo di Kiev possa accettare le richieste russe o se, invece, da quelle parti, galvanizzato dai successi insperati, qualcuno non abbia nessuna voglia di cedere una parte del territorio nazionale e sia tentato dalla voglia di ricacciare i russi fuori dai confini del 24 febbraio.

Perché come avviene tutte le volte che si combatte una guerra di popolo, e questa lo è stata, poi è difficile spiegare a chi ha rischiato, a chi ha avuto dei lutti, a chi ha perso tutto compresa la casa, che deve rinunciare ancora a qualcosa. La voglia di «revanche» e il rancore diventano troppo forti e, si sa, il realismo spesso non va a braccetto con l'orgoglio. Tanto più che con i suoi folli piani - e con i suoi errori - lo Zar ha forgiato la nuova Ucraina: quella che nemmeno un mese fa considerava un'invenzione, solo un pezzo di territorio russo, si è conquistata sul campo la dignità di nazione. Questi sono i termini del problema adesso. Senza contare che il nocciolo duro dell'Occidente - Stati Uniti e Gran Bretagna - sono pronti a spingere Zelensky a continuare la guerra fino a quando un soldato russo resterà in territorio ucraino, cioè fino all'umiliazione di Putin.

Già, Zelensky, nelle prossime settimane la patata bollente finirà proprio nelle mani del presidente ucraino: quando i russi porteranno a termine - sempreché gli riesca - la conquista del Donetsk e del Lugansk, con altri bombardamenti e altri morti, sarà lui che si troverà di fronte il dilemma se andare avanti nel conflitto o accettare un armistizio. Soprattutto, dovrà spiegare agli ucraini, che dopo tanta sofferenza e morte, si può sacrificare sull'altare della pace un quinto del territorio del Paese. Un'operazione complicata a meno che qualcuno non gli dia le garanzie che finita un'aggressione da parte dei russi dopodomani non ce ne sia un'altra. Insomma, l'Ucraina per sentirsi sicura ha bisogno di un ombrello internazionale e dato che difficilmente potrà essere la Nato, tocca all'Unione Europea che - come è giusto - dovrà accoglierla, che dovrà assumersi questa responsabilità.

A meno che a Bruxelles la solidarietà non si riveli solo un esercizio di parole vuote.

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