Al funerale dell'agente eroe c'eravamo anche tutti noi

C'è un eroe a Secondigliano. E adesso ci sarà per sempre. Ieri c'eravamo anche noi ad abbracciarlo, incollati a quella bara orgogliosamente avvolta nel Tricolore

Al funerale dell'agente eroe c'eravamo anche tutti noi

C'è un eroe a Secondigliano. E adesso ci sarà per sempre. Ieri c'eravamo anche noi ad abbracciarlo, incollati a quella bara orgogliosamente avvolta nel Tricolore, come ha fatto sua moglie Giuliana per tutta la cerimonia funebre. Anche noi a salutare l'agente scelto della Polizia Pasquale Apicella, morto a soli 37 anni il 27 aprile nell'inseguimento di una banda di rapinatori del campo rom di Giugliano. Sbandati in terra di sbandati, ma anche terra di valorosi servitori dello Stato, pronti a sacrificare la loro preziosa esistenza per testimoniare la giustizia, per sconfiggere il male.


A ricordarcelo resterà una foto, una meravigliosa immagine della vita che sa essere la vera opera d'arte, altro che quadri o sculture. Il frammento di un attimo, nello scorrere del tempo e delle cose, capace di spiegarci meglio di qualsiasi trattato di filosofia che cosa sia l'amore: quello per il bene, per la Patria, per un marito, per la famiglia. E se tutto questo succede ai piedi di un altare, ecco che allora un funerale si trasfigura e diventa una Pietà laica (e forse non solo laica), capace di parlare al nostro cuore e soprattutto alle nostre menti. Un capolavoro dipinto dall'eroismo di un poliziotto, capace di esserci d'esempio proprio nel cuore di una terra che, per colpa di un pugno di criminali, è troppo spesso marchiata con il bollo dell'ignominia.
Peccato che ieri a causa delle norme per contenere il virus, nella chiesa di culto evangelico oltre ai familiari ci potessero essere solo il ministro dell'Interno Luciana Lamorgese, il prefetto Marco Valentini, il capo della polizia Franco Gabrielli, il presidente della Regione Vincenzo De Luca e il sindaco di Napoli Luigi De Magistris. E il questore di Napoli Alessandro Giuliano, a cui la mafia ha portato via un padre. «Seppellire un figlio è una cosa contro natura e non c'è alcuna buona ragione per morire a 37 anni - ha detto rivolgendosi ai genitori -. Ma se Lino è avvolto nel Tricolore, è perché voi avete fatto un buon lavoro. Se amava così tanto il nostro lavoro è grazie ai valori che gli avete trasmesso, siate orgogliosi di voi stessi oltre che di Lino».

Poi, parlando alla moglie Giuliana, stretta alla bara, «dovrai purtroppo spiegare ai vostri figli perché hanno subito questa ingiustizia, ma quando saranno grandi racconta loro che papà era felice perché aveva una famiglia che amava, una divisa che adorava e una professione che desiderava. Dì loro che, come tanti suoi colleghi, sognava di contribuire a rendere il mondo un po' migliore. Anche per loro due. Dì loro che sono figli di un eroe».

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