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Gay, banche e referendum: prime crepe nel muro di Renzi

Sul voto di sfiducia al governo per la prima volta centrodestra e M5S hanno votato allo stesso modo. E sul referendum Renzi rischia grosso

Gay, banche e referendum: prime crepe nel muro di Renzi

Poco più di un mese fa, prima di Natale, nell'atrio di Montecitorio, Alessandro Di Battista, uno dei leader in ascesa del M5S, chiedeva a un interlocutore del centrodestra: «Non capisco perché Berlusconi debba attaccarci ogni volta che può! In un sistema che si basa sul ballottaggio rischia solo di fare un piacere a Renzi. Tenere in piedi questo Muro non serve a nessuno di noi». Già, quel Muro pregiudiziale che per due anni ha bloccato ogni comunicazione tra Grillo e i suoi e lo schieramento di centrodestra, ha favorito solo Renzi e il Pd: in un universo di stelle fisse il vertice piddino ha potuto godere di una rendita di posizione e sfruttare a proprio favore l'assenza di ogni relazione tra gli altri due principali soggetti del firmamento politico.Ora, però, gli astri hanno cominciato a muoversi. Sia pure lentamente. E il «caso Quarto» ha fatto provare per la prima volta ai grillini il meccanismo «mediatico-giudiziario» di cui sono stati vittime in passato tanti avversari della sinistra. Naturalmente guai a usare con loro un'espressione del genere, ma se Grillo se la prende con «la Rai fascista», dieci giorni fa dissertando nell'aula di Palazzo Madama, una delle senatrici più in vista del gruppo dei 5 Stelle, Michela Montevecchi, si lasciava andare a queste osservazioni: «Quando sei sottoposto a questo tipo di linciaggi capisci meglio alcuni discorsi di Berlusconi». Questi aneddoti servono a inquadrare meglio quanto è successo mercoledì scorso nell'aula del Senato sul voto di «sfiducia» al governo. Un voto che tutti i commentatori, o quasi, in ossequio al conformismo che caratterizza in questo periodo la stampa italiana, hanno salutato come l'apoteosi di Renzi e del renzismo. Grazie anche alla sua abilità, le lodi al premier sono state sperticate: «maggioranza più ampia», «opposizione divisa e impotente», «code al botteghino del partito della Nazione».Contemporaneamente, però, un altro dato di quella giornata è stato invece completamente ignorato: per la prima volta, infatti, una mozione del centrodestra è stata votata anche dal M5S, come pure il documento grillino ha avuto il «sì» di Forza Italia, Fratelli d'Italia e leghisti. Insomma, alcune crepe hanno cominciato a rendere meno solido il Muro su cui Renzi ha costruito le sue fortune. Crepe che lo stesso premier, che non è fesso, ha notato, tant'è che nel suo discorso ha denunciato, con l'ironia che gli è propria, questi movimenti. Un'ironia fin troppo tagliente, che segnala un certo nervosismo figlio di un dato difficilmente controvertibile: la grande maggioranza di cui il governo beneficia in Parlamento - grazie a un premio di maggioranza incostituzionale e a un processo di trasformismo mastodontico - nel Paese è una minoranza. Addirittura esigua: Renzi, infatti, può contare solo su un italiano su tre, visto che i seguaci di Alfano e Verdini hanno un seguito nell'elettorato italiano che si discosta di poco dallo zero.Quel Muro che comincia a sgretolarsi è, quindi, preoccupante per Renzi, specie alla vigilia di una campagna referendaria che vedrà centrodestra e movimento grillino sullo stesso versante della barricata: certo i due poli resteranno distanti, competitivi e avversari, ma una campagna combattuta insieme renderà comunicanti due elettorati fino a ieri considerati antitetici, prima nel referendum di ottobre, poi, nel ballottaggio delle elezioni politiche. Due elettorati che si ritroveranno d'accordo, inutile dirlo, specie sul giudizio sul governo Renzi. Non per nulla Berlusconi sta incitando il centrodestra a impegnarsi nei comitati per il No ed è tutt'altro che pessimista sull'esito della consultazione. «Renzi - è la sua previsione -, puntando tutto sul referendum, ha fatto il passo più lungo della gamba». Soprattutto, incautamente, ha dato un impulso al «movimentismo» degli altri poli. Accelerando anche un processo di revisione, più o meno palese, della lettura della storia degli ultimi anni.Nel corso di questi mesi nel giudizio di Grillo e dei suoi sull'operato di Renzi, infatti, l'espressione «se lo avesse fatto il Cavaliere» è diventata quasi una litania. Un espediente retorico usato spessissimo, vuoi sulle forzature del governo nell'esame delle riforme costituzionali, vuoi sulle decisioni assunte da Renzi su banca Etruria. Un paragone che Carlo Freccero, entrato nel Cda Rai grazie ai voti grillini, ha usato anche sul tema Rai: «Io ho vissuto l'editto bulgaro di Berlusconi in prima persona: ora la realtà è ben peggiore e la censura sembra lecita forse perché perpetrata da un sedicente centrosinistra». Appunto, nell'immaginario grillino il Bomba di Firenze ha assunto un'accezione peggiore del Cavaliere nero.

Grazie a Renzi anche il Muro è crollato.

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