Coronavirus

Genitori e figli, la rabbia in piazza "Così Conte dimentica la scuola"

Dobbiamo dirvelo: la nobile adrenalina che ci tiene in piedi e ci dà forma e benzina in emergenza, prima o poi finisce e quando finisce, quando i reni smettono appunto di drenarla, allora possiamo contare solo sui nervi.

Genitori e figli, la rabbia in piazza "Così Conte dimentica la scuola"

D obbiamo dirvelo: la nobile adrenalina che ci tiene in piedi e ci dà forma e benzina in emergenza, prima o poi finisce e quando finisce, quando i reni smettono appunto di drenarla, allora possiamo contare solo sui nervi. Stiamo per trasformarci in colonne di rabbia, noi genitori. E non solo perché siamo l'unico Paese al mondo che ha blindato le scuole a inizio pandemia e non le ha mai più riaperte, trattando il diritto all'istruzione come un bene accessorio (mentre ce lo ricordiamo il monito di Antonio Gramsci nel 1919 pubblicato sull'Ordine Nuovo: «Istruitevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra intelligenza»); stiamo diventando colonne di rabbia anche perché su qualcosa dovremmo pur iniziare a contare, e invece voi ci impedite anche questo. E va bene che la natura, o chi per essa, si è trastullata col mondo mettendolo in ginocchio; e va bene che noi italiani siamo stati tra i primi a prendere la febbre e tra gli ultimi a sudarla via, e va bene che tutti avranno fatto ciò che hanno potuto, e vanno bene i bonus e le video lezioni, e vanno bene lo smart working e i nonni distanziati, e vanno bene le vacanze agevolate, per andare dove e come non si sa, peraltro, ma non si può mica pensare di uscire da una pandemia globale e da una crisi economica senza precedenti con i bonus biciclette. L'opinione pubblica è ormai incline alla perplessità. E ieri, mezzo Paese ha messo in scena una manifestazione «statica» che «rispettava le distanze di sicurezza» per chiedere certezze almeno sul ritorno in classe a settembre. Insegnanti, genitori, alunni e striscioni chiedevano alla ministra Lucia Azzolina, «priorità alla scuola». Ma dia retta, ministra: il silenzio composto della piazza non era amichevole. Il fatto che la manifestazione fosse educata, non significa che gli interessati non volessero vedere le loro parole andare a segno. Perché da qualche parte tocca pur ripartire. E perché il mondo reale è un animale ormai fiaccato sotto i decreti, le risposte vaghe e un'organizzazione che ha la gittata prospettica di una settimana alla volta. È un Paese sgomento questo, che ormai sa di dovere navigare a vista ancora per i prossimi mesi di questa grottesca estate. Fila interminabili di italiani smarriti, come scarpe spaiate. Con facce piatte e diligenti come appassionati di computer, in attesa dell'ultima prescrizione senza senso in cui tuffarsi per orientarsi. Ma dev'esserci una fine e un segnale. E che per l'amor del cielo, per segnale non si intenda la geniale proposta della viceministro Pd all'Istruzione, Anna Ascani, «vorrei dare la possibilità agli studenti di fare l'ultimo giorno dell'anno scolastico in classe». Ci mancava solo questo guizzo estetico a far ripiombare nel baratro organizzativo migliaia di famiglie che hanno cercato fin qui, e magari trovato, la soluzione al complicatissimo sudoku familiare. Vi preghiamo, lasciate almeno stare i vezzi. Noi ci arrangeremo, chi più chi meno, ci trascineremo in riva al nostro bellissimo mare che ormai respira come una persona malata, e sfangheremo anche quest'estate dietro i plexiglas.

Ma fateci partire con la certezza di essere almeno rimandati a settembre.

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