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I segreti dei centenari

Viaggio nel centro di Benevento dove gli scienziati studiano i segreti della lunga vita. E analizzando il sangue dei nonni più longevi d’Italia hanno scoperto che è questione di geni, vitamina D e...

I segreti dei centenari

L e provette del sangue più longevo d’Italia sono una affiancata all’altra in file di dieci per dieci, cappuccio verde, sull’attenti sopra un vassoio ospedaliero. Un numero, un codice, F o M per il sesso. Accanto, le colonnine trasparenti delle resine che hanno pulito il Dna, invisibili. Il segreto dei geni è passato di qui. Centododici campioni analizzati: centenari, sessantenni con parenti longevi e sessantenni senza novantenni in casa. Il sangue arriva da San Marco dei Cavoti, comune del Beneventano, famoso per uno stravagante museo di orologi campanari e per i torroni, arroccato alle pendici dei monti del Sannio, uno degli ultimi contrafforti orientali dell'Appennino campano prima che degradino fino al Tavoliere delle Puglie. Tracce di insediamenti pre-romani, zona di terremoti, ora il borgo si arrampica su un’altura fino alla chiesa di San Marco. Il laboratorio di genetica medica dell’ospedale di Benevento normalmente si occupa di bambini. All’ingresso, sulla sinistra, uno scivolo con la stampa in mattoni, come il ponte di una fortezza. Alle pareti, nel corridoio, foto di Bambi, del re Leone, Peter Pan. La genetica è dei bambini, qui si studiano i grandi problemi che affliggono i più piccoli dalla nascita. Il laboratorio di citogenetica, la camera sterile. Qui ha sede anche il Centro registro campano dei difetti congeniti. Ma nel frigorifero a meno 80 gradi da alcuni mesi sono conservati campioni di tutt’altro genere e di altra età, che provengono dal sangue di persone che hanno con i pazienti piccoli di questi ospedale cento anni di differenza. Tutto parte dalle leggende. San Marco paese senza tempo, dove la gente non muore mai. Il dottor Stefano Stisi, presidente del Collegio dei reumatologi italiani (Crei), a giugno dello scorso anno decise di capirne di più. Quasi cinquanta centenari accertati tra il 2000 e il 2015, uno di anni 107, su una popolazione di 3.400 abitanti. «Abbiamo verificato che il dato aneddotico di letteratura era realmente un dato significativo. In Grecia, dove la media è la più alta per l’Europa, i centenari rappresentano l’0,056 per cento della popolazione. A San Marco lo 0,058%» (la media italiana è 0,031%, ndr). Prende così il via il piano Hebe, un nome che evoca la mitologia e il fascino della longevità che gli Antichi sapevano spiegarsi con un elisir, che la dea, figlia di Zeus e di Giunone, distribuiva ai banchetti sacri. I greci antichi risolvevano l’enigma con la favola, ora l’Olimpo è il laboratorio di genetica. Il nettare, forse, una vitamina, la D.

LA SPERANZA IN UNA «D» «Siamo partiti con le ipotesi genetiche, per capire perché questa popolazione fosse così propensa alla longevità», racconta Stisi. Gli studi di base sono stati uno olandese e uno iraniano, ma quello olandese andava a indagare «geni ritenuti poi poco importanti». Quello iraniano, invece, sembrava colpire più nel segno, anche se riferito a popolazioni di aree diverse. La ricerca, condotta dal Crei, prevede due fasi: la prima, genetica, la seconda sulla qualità della vita. La grande avventura dello studio sui geni dei centenari si svolge tutta qui, nel reparto di genetica medica dell’ospedale Rummo, che proprio in questi giorni è arrivato alla conclusione dei primi mesi di lavoro. Ci accoglie il responsabile dell’unità operativa semplice dipartimentale, Fortunato Lonardo, con le colleghe Marianna Maioli e Cinzia Lombardi. L’estrazione del Dna, la conservazione dei campioni, è passata tutta dalle loro mani. Il vassoio delle provette sembra un reliquario, e ancora molto ci sarà da estrarre dai campioni conservati a temperatura ideale. La ricerca sui misteri della lunga vita, in fondo, «è solo all’inizio», conferma Lonardo. Ma qualche piccolo segreto inizia a essere decriptato. Segreti che hanno a che fare con la citata vitamina D. Quella circolante, calcolata con prelievo, e quella, soprattutto, che il corpo dei longevi e dei parenti, e il gruppo di controllo, sono in grado di tenere, utilizzare. Questa capacità è determinata da un recettore nucleare, il VDR Fok1. Un recettore che alcune persone hanno molto attivo, altre mediamente operoso, e alcune un po’ debole. Tutto dipende dal genotipo. I risultati non sono ancora stati passati dal filtro della statistica, ma sembrerebbe che il genotipo FF, omozigote con le due lettere maiuscole, possa essere associato alla longevità. Questo non significa che i «minuscoli» siano condannati a non raggiungere i cento anni. Se la ricerca procede al meglio, con le dovute integrazioni di vitamina, gli ff potrebbero porsi nelle stesse condizioni degli FF.

LONGEVITÀ E BENESSERE «Con due F maiuscole - spiega Lonardo - a parità di vitamina D, l’attività del recettore è maggiore e quindi viene utilizzata di più». Vitamina D che gli studi per ora associano a minore incidenza di alcuni tipi di tumore, qualità ossea e mineralizzazione, rafforzamento del sistema immunitario, protezione di quello nervoso. Nella prima metà del campione studiato a Benevento, le FF maiuscole del genotipo erano circa la metà, il 50%, con il 42% di F maiuscolo e f minuscolo e l’8% di ff omozigote recessivo. E dai primissimi riscontri sembra proprio che il genotipo FF sia molto più frequente nei novantenni e nei centenari e famiglia rispetto al gruppo di controllo che non ha longevi in casa. Il laboratorio molecolare di Benevento custodisce le colonnine con resine per le estrazioni, le centrifughe, le soluzioni tramite cui si pulisce il Dna da proteine e elementi contaminanti. In un’altra stanza la vasca per l’elettroforesi, l’ultimo passaggio svolto prima della lettura. Nessun cognome o età è scritto sulle provette. «Per non essere influenzati - chiarisce Lonardo - può capitare di esserlo, involontariamente». Una seconda parte del progetto si occupa della qualità di vita dei centenari. Lo scopo: capire se longevità e benessere sono associati.

TESTI Verranno distinti piccoli gruppi di persone con longevità qualitativa forte, buona, minima. Per questo motivo sono stati coinvolti nella ricerca i cinque medici di base di San Marco, e sono stati svolti sugli ultranovantenni una serie di test, sulle capacità cognitiva, su valori come peso ed altezza corporea, sui 50 metri di cammino, il tempo di rialzo dalla sedia, la valutazione della forza di presa, il consumo quotidiano di vino e olio di oliva. Sono state acquisite poi le informazioni sulla vita lavorativa e soprattutto sullo stile di vita, che sembra influenzare moltissimo la longevità. Questi dati sono in corso di analisi da parte del reparto di reumatologia di Benevento. «Abbiamo posto una serie di domande al gruppo dei longevi in base al test di Pfeiffer - racconta Stisi -. Quando abbiamo chiesto chi è l’attuale presidente della Repubblica, c’è stata qualche difficoltà. Sul precedente, i problemi sono aumentati. Allora abbiamo provato con i Papi, l’attuale e il precedente, ed è andata molto meglio». Questione di fede. «Abbiamo sempre ritenuto - conclude il reumatologo - che nasciamo in un modo e in quel modo moriamo, ma da questo studio vogliamo capire se è davvero così». Integrare carenze vitaminiche in presenza di un deficit del recettore potrebbe essere una strada. Il sindaco di San Marco dei Cavoti, Giovanni Rossi, è medico di base: «Novantenni e centenari stanno mediamente abbastanza bene. Una mia assistita ha 106 anni e quattro mesi. Incoronata - racconta - solo nell’ultimo anno mi ha chiamato un po’ di volte in più, ma è comprensibile. Incoronata la sera cena alle sei, va a letto alle sette e mezzo. Una vita di lentezza, vivono tutti in famiglia». L’Italia è uno del Paesi del mondo dove si vive più a lungo. I dati 2013 del Global Health Observatory dell’Oms collocano il nostro Paese al secondo posto, alle spalle del Giappone, insieme a Svizzera, Andorra ed Australia. L’indicatore statistico utilizzato per la longevità è la «speranza di vita alla nascita». Secondo l’Istat, i bimbi nati in Italia nel 2015 potranno vivere fino a 82 anni (80,1 se maschi e 84,7 se femmine). Nel 1861, anno dell’unità d’Italia, l’aspettativa media degli italiani era di 30 anni, nel secondo dopoguerra di 55.

La ricerca continua ad addentrarsi nell’ambrosia di Hebe.

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