Cronache

I terroristi detenuti in Calabria brindano alla strage di Parigi

Nel carcere di Rossano, in Calabria, sono rinchiusi 21 terroristi islamici che la notte degli attentati di Parigi hanno brindato e festeggiato per la strage parigina

I terroristi detenuti in Calabria brindano alla strage di Parigi

Hanno esultato, gioito per gli attentati di Parigi. Sono i detenuti del carcere di Rossano, in Calabria. “Viva la Francia libera”, è l’urlo rabbioso che, la notte del 13 novembre, ha rotto il grande silenzio tra le mura del carcere cosentino. A brindare alla strage quattro dei ventuno terroristi islamici rinchiusi in cella con l’orrenda accusa di terrorismo. Felici, euforici per la mattanza che si stava consumando per le strade della capitale Francese. Non un attentato, ma un’operazione per liberarsi dagli infedeli. Ecco perché l’urlo di esultanza. A dare l’agghiacciante notizia gli stessi agenti della polizia penitenziaria che ogni giorno lottano in quel carcere. Un penitenziario poco sicuro. A denunciarlo è Donato Capece, segretario generale del sindacato autonomo della polizia penitenziaria che dichiara: “nella sezione speciale del carcere di Rossano dove sono detenuti 21 terroristi islamici, uno dei quali appartenente all’Isis ed un altro all’Eta, e gli altri 19 integralisti islamici, tutti con pena definitiva nel 2026, c'è un livello di sicurezza pari a zero”. Una dichiarazione che non può passare inosservata. I mezzi e le risorse non sono adeguate al tipo di carcere, che dovrebbe essere di massima sicurezza. Il perimetro esterno viene controllato da un solo agente con una macchina che ha più di 200 mila chilometri e non è neanche blindata. Troppo pochi gli agenti di polizia penitenziaria. Pochissime le risorse. “Non capisco perché i terroristi islamici debbano essere ristretti nel carcere di Rossano e non a Pianosa o Asinara. Questi soggetti devono essere collocati in posti isolati e non nelle carceri dei centri abitati” ha aggiunto Capece. Una dichiarazione che ha fatto preoccupare i cittadini di Rossano che vivono a pochi passi da quel carcere che ospita tra gli altri Hafiz Muhammad Zulkifal, l’ex imam bergamasco accusato di strage. Era lui che, alla vigilia degli attentati di Stoccolma, chiamava in Svezia per reclutare “i puri”. Lo stesso che nel 2010 riceveva telefonate dal Pakistan in cui si parlava della necessità di "pensare al loro Papa...". Intercettazioni che hanno insospettito gli inquirenti su un probabile attentato al papa. La sicurezza è una cosa seria. È quella nazionale lo è mille volte di più.

Urge, dunque, che il governo centrale intervenga prima che sia troppo tardi.

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