Anche se si compie uno sforzo per restare pacati è difficile non essere sbalorditi, e magari anche scandalizzati, di fronte alla requisitoria del pubblico ministero contro Silvio Berlusconi nell'ennesimo processo del filone Ruby a Milano, il Ruby ter. Se ci fosse un minimo di onestà intellettuale tutti vedrebbero nei ragionamenti e nel lessico usato l'immagine plastica di come non dovrebbe essere amministrata la giustizia, scorgendone mali e vizi. Un insieme di giudizi etici, di moralismi esasperati che dovrebbero esulare dalla sfera del pubblico ministero che, invece, dovrebbe attenersi all'illustrazione delle prove e dei fatti. Ma visto che prove e fatti, al di là delle leggende metropolitane e del solito carico di intercettazioni e di teoremi piegati ai desideri della pubblica accusa, non ce ne sono, il magistrato ha dovuto fare incetta della retorica e dei luoghi comuni di questi anni riportando le lancette del tempo indietro, agli anni peggiori dell'anti-berlusconismo togato.
Il culmine è stato raggiunto quando ha pronunciato questa frase per rimarcare il potere all'epoca dei fatti del Cav: «Era un uomo che poteva avere il mondo ai suoi piedi che si accompagnava con amicizie come quella con Putin che oggi sta mettendo in ginocchio il mondo». Ora tirare in ballo in un'aula di tribunale l'amicizia tra Berlusconi e Putin, mettendola in relazione con le follie di oggi dello Zar non ha nulla a che vedere con il processo, ma dimostra solamente che la toga in questione ha un «pregiudizio ideologico» verso l'imputato. È un esempio fulgido del meccanismo perverso che ha avvelenato negli ultimi decenni inchieste, processi, procure e Palazzi di Giustizia. È quel virus devastante che porta a processare opinioni, ruoli, idee e a non attenersi alla valutazione delle prove dei reati. È l'interpretazione più iniqua della giustizia quella che ha portato ai tribunali speciali fascisti, ai tribunali del popolo sovietici, ai processi inquinati dalla cappa del maccartismo.
È l'ennesimo caso in cui la politica esercitata con la toga inquina la giustizia. Che cosa c'entra ciò che fa oggi Putin con Ruby? Un processo che già di per sé ha un vizio di fondo, perché nasce da un desiderio di «revanche» della Procura di Milano dopo l'assoluzione di Berlusconi in Cassazione nel Ruby uno (alla sbarra, come nei vecchi regimi, ci sono tutti coloro che hanno testimoniato in suo favore) e che continua ad avere il suo motore nell'avversione ideologica di un pezzo di magistratura verso l'imputato. Quel pubblico ministero, a prendere sul serio le sue parole, potrebbe chiedere l'ergastolo per Alessandro Orsini, il teorico del putinismo nostrano, per un divieto di sosta: lo dice uno come il sottoscritto che è sempre stato dalla parte dell'Ucraina aggredita senza «se» e senza «ma». Solo che tutto ciò non c'entra nulla con il processo in questione.
È solo la riprova di quanto sia malato il nostro sistema giudiziario, di come l'indirizzo ideologico di una magistrato (o di una corrente della magistratura) che incrocia il Palazzo o i protagonisti della politica determina le condizioni per cui ci sono sempre dei «garantiti», prevalentemente nel centrosinistra, e dei perseguitati, generalmente di centrodestra. Dopo quarant'anni, diciamocelo francamente, sempre appellandoci all'onestà intellettuale, non se ne può proprio più.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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