L'ipocrisia radical chic di chi fa la lezioncina a chi lavora

L'influencer radical chic si bulla di aver detto a una commessa di studiare per guadagnare di più. Ma la sua lezioncina è solo cinismo

L'ipocrisia radical chic di chi fa la lezioncina a chi lavora

Prima andava a caccia di fake news, ma mentiva sulla sua laurea. Ora va in Sicilia a dar lezioni a chi si guadagna da vivere anche servendo i turisti che in questi giorni affollano Palermo. E lo fa in quello che ha tutta l'aria di un "viaggio stampa" (come si chiamava prima dell'era degli influencer), andando in Sicilia per sponsorizzare una crema solare "verde" e una onlus ambientalista. L'esempio plastico di un'ipocrisia progressista che cavalca il politicamente corretto.

Stiamo parlando di Imen Jane, blogger economista e radical chic che l'anno scorso è finita nel tritacarne dei social quando si è scoperto che non aveva mai conseguito alcun titolo di studio in Economia. Passata la tempesta, ha continuato per la sua strada costruendo (e ricostruendo) la sua reputazione sui social. "Passo le giornate a cercare le notizie che meritano", scrive sulla sua bio su Instagram. Ma certo non disdegna quello che gli stessi social offrono: visibilità. E così tra una pila di libri da regalare e una copia del New York Times appaiono "mention" ad aziende, marchi, foto con macchine del caffè e l'hashtag #ad che identifica i post sponsorizzati.

Ma cosa è successo oggi tanto da farla finire in tendenza su Twitter? Nei giorni scorsi Imen Jane è volata a Palermo. Non senza aver parlato ai suoi quasi 350mila follower di una linea di solari studiati per ridurre "al massimo il loro impatto sul mare" prodotti dalla stessa azienda che ha organizzato insieme a una onlus ambientalista delle giornate in cui volontari ripuliscono le spiagge. Proprio uno degli eventi per cui l'influencer è volata da Milano a Palermo e che ha raccontato nelle Storie oggi. Al di là dell'obiettivo - sicuramente nobile - si tratta probabilmente dell'ormai classica forma di sponsorizzazioni sui social: l'azienda cerca visibilità attraverso personalità che hanno pubblico, l'influencer fa da testimonial raggiungendo così anche un pubblico diverso dal proprio. Certo, chi ci mette la faccia ha tutto il diritto di scegliere le campagne a cui dar risalto - e non dubitiamo che il tema ambientale sia caro alla Jane -, ma per chi si pone come simbolo di un'informazione più trasparente e diretta, questo sistema stona un po'.

E non finisce qui. Già, perché la blogger era in compagnia dell'amica e collega Francesca Mapelli. Le due hanno raccontato con stupore che una commessa alla quale avevano chiesto informazioni sul palazzo in cui era il negozio aveva risposto "dicendo di non essere pagata abbastanza per informarsi". E loro cosa hanno ribattuto? Che se si fosse "informata abbastanza" avrebbe potuto avere l’occasione di essere pagata tre volte tanto come guida turistica. Una scena che è subito suonata classista. Ne è nata una valanga social di accuse di arroganza, di sentirsi superiore perché più colto, di comportarsi come chi va in vacanza in un posto esotico fermandosi ai posti turistici. Oltre alla frecciata più ricorrente: "Imen Jane che consiglia di studiare. Niente, fa già ridere così". L'atteggiamento delle due è stato bollato come "cinismo", tipico di chi non si accorge di essere in una situazione privilegiata. E fa ancora più scalpore se chi lo fa si erge a paladina dei diritti dei giovani.

Tanto che pure i brand coinvolti si sono dissociati.

La onlus ambientalista precisa che "non si avvale di influencer" (più probabile che a coinvolgere le due ragazze sia stata l'azienda di cosmetici). E persino Will, il brand che la Jane ha contribuito a fondare, sostiene che il team è composto "da quelli che vedete"...

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