Israele non può pagare gli errori di Netanyahu

Netanyahu non è Israele ma la sua provvisoria espressione istituzionale. Israele è uno Stato democratico, con un'opposizione combattiva e una stampa indipendente dove chi oggi si oppone alla politica del presidente del Consiglio può apertamente dissentire, organizzare conferenze stampa, manifestare

Israele non può pagare gli errori di Netanyahu
00:00 00:00

In Puglia, il presidente Emiliano ha invitato il personale regionale a interrompere ogni rapporto con il governo israeliano. La decisione fa seguito a una, dal sapore analogo, assunta dal Consiglio comunale di Bari, che con una sua mozione ha fatto sapere di non gradire la presenza di Israele alla Fiera del Levante.

Queste iniziative pongono implicitamente dei problemi sia di carattere metodologico che di carattere politico. Partiamo dai primi. Ha senso che una Regione detti una linea di politica estera, in aperto contrasto con lo Stato che la rappresenta? Ed è opportuno farlo in frangenti drammatici, quando la diplomazia nazionale è tesa ad uno sforzo dal quale può persino passare il fronte tra la guerra e la pace; la morte e la vita? Per rispondere, non serve dissotterrare il dissidio tra centralismo e autonomismo. Perché anche nei modelli più federalisti, la politica estera è una e una sola. Frammentarla vuol dire semplicemente ritrovarsi con tante diplomazie regionali improvvisate, divergenti e con una nazione che in campo internazionale conta di meno.

Anche a livello politico, però, l'iniziativa non pare raggiungere il bersaglio. Per aperta ammissione, questo è rappresentato da Bibi Netanyahu. Non abbiamo remore nell'affermare senza se e senza ma che il limite della legittima difesa, sia stato da lui superato. Per quel che ci concerne, gli addebitiamo anche una responsabilità storica: aver sprecato l'opportunità politica che si era aperta dopo il disimpegno unilaterale da Gaza voluto da Ariel Sharon nel 2005. Netanyahu ha lasciato che Hamas si rafforzasse e potesse sopraffare ogni altra espressione politica palestinese. Hamas si è così impossessata della rappresentanza di un popolo, si è finanziata, armata e ha scelto la strada del terrorismo: dai missili quotidiani al terribile pogrom del 7 Ottobre. I palestinesi e le loro rivendicazioni sono progressivamente scomparsi. E quando lo scorso gennaio i miliziani hanno marciato in mimetica a Gaza City, con armi e furgoni nuovi di zecca, liberando i primi ostaggi israeliani, non sventolavano la bandiera palestinese ma quella verde con la dichiarazione di fede islamica. Hamas non vuole la soluzione dei due stati. Non riconosce Israele e nella sua carta fondativa vi è scritto che intende distruggerla. La si può pensare come si vuole in merito alla soluzione della crisi. Ma chi identifica la Palestina con Hamas compie un'operazione scorretta.

Cadere nell'errore opposto è ancora più grave. Netanyahu non è Israele ma la sua provvisoria espressione istituzionale. Israele è uno Stato democratico, con un'opposizione combattiva e una stampa indipendente dove chi oggi si oppone alla politica del presidente del Consiglio può apertamente dissentire, organizzare conferenze stampa, manifestare. Non è lecito, dunque, che per attaccare Netanyahu si finisca col colpire Israele. Generalizzare è sempre un errore. Quando in gioco c'è lo Stato ebraico, quell'errore può aprire il varco all'antisemitismo. La storia dovrebbe avercelo insegnato. Per questo, proprio quando le situazioni si fanno drammatiche la politica deve rifuggire la propaganda.

Il nostro è un grido d'allarme. Non vorremmo che i sussulti pugliesi fossero il primo effetto collaterale della manifestazione a sostegno di Gaza annunciata per il 7 giugno. Legittima, certo. Ma altrettanto legittimo è ritenerla sbagliata.

Commenti
Pubblica un commento
Non sono consentiti commenti che contengano termini violenti, discriminatori o che contravvengano alle elementari regole di netiquette. Qui le norme di comportamento per esteso.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica