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Tutte le ambiguità di Conte che lascia i porti aperti

Mentre gli italiani stanno in casa per evitare i contagi da coronavirus, i migranti continuano ad arrivare per poi fuggire dai centri di accoglienza. Un pericolo per la sanità pubblica

Tutte le ambiguità di Conte che lascia i porti aperti

Ripiombata nella morsa del coronavirus e con tanti problemi da affrontare sul fronte dell’immigrazione. È questa la fotografia dell’Italia che da una parte, impreparata a gestire la ripresa della pandemia, chiede ai cittadini di stare a casa il più possibile, mentre dall’altra continua a lasciare aperte le porte ai migranti che arrivano in massa con tutti i rischi che ne derivano.

Due pesi due misure

Con l’impennata veloce dei livelli di contagio da coronavirus, l’autunno ha bussato presto alle porte degli italiani chiedendo nuovamente prudenza e restrizioni. Per far fronte alla forte ondata il governo ha colorato la Nazione in giallo, arancione e rosso, limitando al massimo le uscite di casa. Ai forti sacrifici richiesti ai cittadini, cui ha fatto seguito come risposta un grande senso di responsabilità, non appare proporzionata la tollerabilità del comportamento dei migranti che arrivano sulle coste partendo dall’altra parte del Mediterraneo. Il fenomeno dell’arrivo degli stranieri, dopo il picco raggiunto durante la stagione estiva, non ha mai mollato la presa continuando a mettere in crisi il sistema di accoglienza. Le città che si sono ritrovate a gestire direttamente gli sbarchi sono entrate in sofferenza, non solo per la grave situazione sanitaria in corso ma anche per l’atteggiamento degli arrivati. Sono diversi gli episodi di fuga dai centri di accoglienza contati negli ultimi giorni. Stranieri in quarantena che fuggono e gironzolano per le città mettendo a rischio la salute pubblica al contrario dei residenti delle zone interessate che sono costretti a stare nella propria abitazione il più possibile. Multe per chi esce di casa senza una valida giustificazione e migranti che stanno in giro come potenziali mine vaganti, capaci di aggredire anche le forze dell’ordine una volta richiamati a rispettare l’obbligo della quarantena.

L’accordo con la Francia non risolve il problema

Dopo l’attentato di Nizza dello scorso 30 ottobre a opera di un tunisino sbarcato a Lampedusa un mese prima, in un incontro tra il ministro dell’Interno francese Gérald Darmanin e la collega italiana Luciana Lamorgese si è deciso di rafforzare il sistema dei controlli lungo il confine franco-italiano. Per far fronte alla minaccia terroristica sono state istituite le brigate miste per il pattugliamento dei confini. Un mezzo di difesa in via sperimentale che partirà a breve e che vede dislocate su quell’asse le forze dell’ordine di entrambe le Nazioni. Una misura che consentirà di individuare chi, arrivando dall’Italia, abbia intenzioni di oltrepassare il confine per compiere atti terroristici in Francia. Un metodo che non risolve il problema alla base per l’Italia dal momento che, dalla parte opposta del confine, i migranti e con essi i possibili terroristi continuano ad arrivare senza filtro.

brigate miste

Quell'idea mai tramontata del blocco navale

Esiste un modo per controllare anche i confini marittimi? Su questo fronte più volte è stata evocata l'idea del blocco navale. Anche perché c'è il precedente del 1997, quando l'allora governo Prodi ha blindato il canale d'Otranto in risposta ai numerosi sbarchi provenienti dall'Albania. Un'esperienza però irripetibile oggi nel canale di Sicilia in quanto sono molto diverse le condizioni. Circostanza confermata su IlGiornale.it da un ammiraglio della Guardia Costiera: “L'Italia violerebbe in tal modo il diritto internazionale – ha dichiarato – l'Albania non è un precedente da prendere in considerazione. Semplicemente non possiamo andare contro una nave straniera al di fuori delle nostre acque territoriali”.

Tuttavia uno Stato ha la possibilità di controllare un dato tratto di mare. Soprattutto tramite azioni cosiddette di “interdizione”: persuadere cioè navi non desiderate a non varcare un determinato limite. Come? Malta ad esempio invia proprie motovedette per “convincere” (donando carburante e cibo per effettuare il viaggio) i barconi a tornare in Libia oppure a sbarcare in Italia. Una mossa unilaterale che a lungo termine però presenta molti rischi. L'Italia, nel suo caso, potrebbe invece schierare mezzi lungo una determinata linea, intimando ai barconi di non passare: “È fondamentale però l'accordo con gli Stati dirimpettai”, ha sottolineato la fonte della Guardia Costiera interpellata. In questa fattispecie è vitale un accordo con Tunisi.

resti in mare del viaggio dei migranti

Lontano ogni accordo con la Tunisia

A parlare della possibilità di schierare mezzi navali e aerei nel canale di Sicilia, previo accordo con le autorità tunisine, è stato lo stesso ministro dell'Interno Luciana Lamorgese: “Dovrebbe essere previsto il posizionamento di assetti navali o aerei che possano avvertire le autorità tunisine di eventuali partenze da quei territori – ha dichiarato la titolare del Viminale – in modo che possano intervenire in autonomia nelle loro acque territoriali”. È l'ammissione che, di fronte all'incessante aumento del flusso migratorio dalla Tunisia, è possibile prendere contromisure. Al momento però quella del ministro è solo un'idea. Di concreto non c'è nulla.

L'impressione è che il governo stia temporeggiando, anche per le note beghe interne sul tema migratorio. Eppure di motivi per rendere prioritario un accordo con Tunisi ce ne sarebbero. Ridimensionare il numero degli sbarchi oggi è più che mai vitale.

In ballo c'è la sicurezza sul fronte sanitario, visto che la pandemia da coronavirus è ancora in atto, così come la sicurezza sul fronte terrorismo. Le ultime vicende lo hanno ricordato fin troppo bene. Al momento però i confini marittimi rimangono esposti a ulteriori nuovi incontrollati ingressi.

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