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L'affondo atlantista con uno sguardo a Biden

Il premier italiano ha lanciato il sasso nel contesto più formale che ci possa essere: una conferenza stampa in diretta tv, con tanto di logo di Palazzo Chigi dietro le sue spalle.

L'affondo atlantista con uno sguardo a Biden

Anche se l'affondo fosse andato al di là delle reali intenzioni, a questo punto è probabile non lo sapremo mai. Arrivando a bollare come «dittatore» il presidente della Turchia Recep Tayyip Erdogan, infatti, Mario Draghi ha aperto un solco - non solo diplomatico - dal quale difficilmente si può tornare indietro. Anche perché il premier italiano ha lanciato il sasso nel contesto più formale che ci possa essere: una conferenza stampa in diretta tv, con tanto di logo di Palazzo Chigi dietro le sue spalle. Sfumature che in diplomazia non passano inosservate.

Una frattura che non riguarda solo Italia e Turchia, ma coinvolge la collocazione atlantica del nostro Paese, anche alla luce dei nuovi equilibri a Washington dopo il passaggio di consegne tra Donald Trump e Joe Biden. Che solo una ventina di giorni fa non ha esitato a dirsi d'accordo con l'affermazione che Vladimir Putin è «un assassino», un'uscita anche in questo caso per nulla diplomatica e che ha segnato una forte discontinuità nella politica estera americana.

Nel day after di quella che tra Italia e Turchia è una crisi senza precedenti, l'ex presidente della Bce viene però descritto dal suo staff come «tranquillo» e «per nulla turbato» dalla dura reazione del governo turco. Che ha prima convocato il nostro ambasciatore ad Ankara e poi ha replicato invitando Draghi a «guardare alla storia recente» del nostro Paese per «vedere cosa sia davvero una dittatura». Una risposta che non sembra aver troppo preoccupato il premier italiano. La sostanza, infatti, è che Draghi non intende recedere da quella che è una linea di politica estera chiara, già anticipata alle Camere alcune settimane fa, quando si è soffermato proprio sulla questione turca sottolineando l'esigenza di «rispettare i diritti umani» e puntando il dito contro «l'abbandono turco della Convenzione di Istanbul». Si tratta, ha detto il premier, di «valori europei fondamentali», di «valori identitari» per l'Ue. Sul dossier Turchia, dunque, a Palazzo Chigi sono molto sensibili non da ieri, forse anche perché il consigliere diplomatico di Draghi, Luigi Mattiolo, è stato ambasciatore d'Italia proprio ad Ankara dal 2015 al 2018.

Peraltro - al netto che il tema sia stato o no affrontato con Washington dopo la recente visita del presidente del Consiglio in Libia (uno scenario dove la Turchia si sta muovendo con grande aggressività) - è di tutta evidenza che il nuovo corso della politica estera americana va esattamente nella direzione sposata da Draghi con l'affondo al «dittatore» Erdogan. Non a caso, prima di essere eletto presidente degli Stati Uniti, proprio Biden aveva definito il presidente turco un «autocrate».

Dopo aver strizzato l'occhio alla Cina e alla Russia con i due governi guidati da Giuseppe Conte, dunque, Draghi - approfittando anche del cambio della guardia alla Casa Bianca - torna su quelli che sono storicamente i due capisaldi della nostra politica estera, fin dai tempi della Dc: europeismo e atlantismo. Con la realpolitik come faro. È per questo che l'ex governatore della Bce ci tiene a dire che con Erdogan bisogna «non collaborare» ma «cooperare». Perché è ben consapevole e dei rapporti tra Turchia e Russia che, per quanto altalenanti su molti fronti, si sono in questi ultimi anni andati stringendo. E perché esiste il tema delle rotte migratorie del Mare Egeo, dove la guardia costiera turca gestisce gli sbarchi sulla sponda europea. Tutte mosse, quelle di Palazzo Chigi, che trovano una sponda forte a Washington. E, forse, è per questo che la possibile escalation della crisi diplomatica tra Roma e Ankara sembra essersi arenata.

Erdogan, infatti, a differenza di quanto sembrava in mattinata, ieri ha evitato di tornare sul tema e di prendere posizione pubblicamente contro l'Italia. La tensione, dunque, è rimasta - per usare l'espressione di Palazzo Chigi - «affidata alle diplomazie». Con Draghi che ha affrontato la questione anche con il ministro degli Esteri Luigi Di Maio, che dovrebbe incontrare a breve, al suo rientro da una missione in Mali.

In tutto questo, nonostante l'affondo su Erdogan coincidesse con la dura presa di posizione a favore della presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen, in Europa si è registrato un certo silenzio delle cancellerie più importanti. Che hanno evitato di scendere in campo, a partire dalla tedesca Angela Merkel, il cui portavoce si è limitato a dire che «non si commentano affermazioni di altri capi di Stato e di governo». Come pure la Commissione Ue, seppure informalmente, se ne è lavata le mani parlando di «quadro complesso» nel quale «non spetta all'Ue qualificare il sistema turco».

Certamente un eccesso di prudenza, soprattutto davanti a un dato che, magari non sarà così scontato dal punto di vista della diplomazia, ma che è evidentemente una verità incontroveritibile. Ed è in questo eccesso di cautela dell'Europa che Draghi inizia a muoversi con un piglio che inizia a far breccia, non tanto in casa nostra quanto all'estero.

E a far pensare - per la prima volta dopo molti anni - che un premier italiano possa ambire ad un ruolo di leadership a livello europeo.

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