La tragedia del Mottarone

L'agghiacciante retroscena: "Qui non succederà nulla"

Dalle deposizioni dei dipendenti della funivia del Mottarone emergono particolari inquietanti sulle ore precedenti al disastro: "Noi prendiamo ordini dal caposervizio e nessuno si aspettava un pericolo del genere"

L'agghiacciante retroscena: "Tranquilli, alla funivia non succederà mai niente"

Sprezzo delle norme, superficialità nell'attuazione delle regole di sicurezza e fatalismo. È quanto emerge dalle deposizioni fornite dai dipendenti della funivia Stresa - Mottarone agli inquirenti. Gli interrogatori dei lavoratori dell'impianto, dove il 23 maggio è avvenuta la tragedia nella quale hanno perso la vita quattordici persone, mostrano la spregiudicatezza dei gestori, che per anni hanno ignorato i protocolli di sicurezza più elementari e si sono affidati alla fortuna.

Agghiacciante la deposizione di uno degli addetti dell'impianto del Mottarone, Fabrizio Coppi. L'uomo ai carabinieri ha raccontato di un episodio precedente, risalente a nove anni prima della tragedia, in cui gestore, Luigi Nerini, ironizzò su possibili incidenti. "Ricordo che nel 2012, quando iniziai a lavorare - ha raccontato Coppi - il gestore Luigi Nerini parlando a proposito del pericolo sul lavoro in funivia mi disse che tanto non sarebbe mai successo niente. Questa frase mi rimase impressa perché poi il mese dopo fui costretto a calare trentotto persone da una cabina rimasta bloccata". Questa volta però nessuno si è salvato. Quattordici morti e un sopravvissuto, il piccolo Eitan, salvato dal corpo del padre che gli ha fatto scudo.

Per anni i protocolli di sicurezza, hanno spiegato i dipendenti agli investigatori, sono stati ignorati. Un'orribile consuetudine che ha portato alla tragedia del 23 maggio. Da settimane i lavoratori sapevano che la centralina idraulica della cabina numero 3 (quella schiantatasi) non funzionava bene. Ma il caposervizio Gabriele Tadini (tra gli indagati) avrebbe detto espressamente di "non rimuovere i ceppi di sicurezza". La mattina del disastro tutte le procedure sono saltate. Prima dell'apertura degli impianti i consueti controlli elencati sul libro giornale sarebbero dovuti essere fatti senza turisti.

Quella domenica, invece, nel primo viaggio test c'erano dodici persone a bordo e Tadini avrebbe dato disposizione di non rimuovere i ceppi e nessun dipendente si è opposto. "Dicono che ci dovevamo rifiutare di mettere i ceppi - ha provato a giustificarsi l'operatore Emanuele Rossi - ma noi prendiamo ordini dal caposervizio e nessuno si aspettava un pericolo del genere".

Per la procura di Verbania, invece, è palese "l'insofferenza a uno scrupoloso rispetto delle misure di sicurezza volte a tutelare l'incolumità degli utenti di tale genere di impianti". E il rischio di "reiterazione del reato" è concreto. Secondo i pm Luigi Nerini, il gestore, sapeva e aveva avallato la procedura, per questo si prosegue con tutti gli accertamenti del caso. Anche su incidenti paralleli, legati ad un'altra attività di cui Nerini era titolare, Alpyland, una pista da bob su rotaia, che parte dalla cima del Mottarone. Nel 2017 e nel 2019 su quella pista si verificarono due incidenti per i quali sono state aperte due inchieste per "lesioni colpose". Anche in questo caso la negligenza di Nerini in termini di sicurezza potrebbe aver pesato sull'accaduto.

Intanto, dopo la scarcerazione di Gabriele Tadini (ora ai domiciliari) e di Luigi Nerini ed Enrico Perocchio, tornati in libertà, il gip Donatella Banci Bonamici ha ricevuto minacce di morte, con mail inequivocabili.

Intimidazioni alle quali il presidente del tribunale Luigi Montefusco ha replicato con "piena e convinta solidarietà" alla collega.

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