Coronavirus

"Lavoro e imprese: modifichiamo insieme il decreto"

Il leader di Forza Italia: "Sono orgoglioso di come i miei connazionali stanno rispondendo all'emergenza. Naturalmente è necessario seguire scrupolosamente le indicazioni delle autorità: ognuno di noi fa la differenza"

"Lavoro e imprese: modifichiamo insieme il decreto"

Come sta, presidente?

«Di salute bene, grazie. Per il resto meglio non approfondire».

Chi vede, chi sente?

«Al di fuori di mia figlia Marina, di suo marito, dei suoi figli non vedo nessuno, ovviamente. Sento quotidianamente tantissime persone, a cominciare dai miei collaboratori, dai dirigenti di Forza Italia, dai nostri parlamentari, dai leader alleati. Ho sentito con continuità i governatori delle regioni e anche il presidente della Repubblica e il presidente del Consiglio. Telefono ogni giorno agli amici e ai conoscenti colpiti dal virus per informarmi delle loro condizioni e farmi sentire vicino».

Ha paura, o meglio che cosa le fa più paura?

«Non ho paura, la paura non porta a nulla. Provo profondo dolore per i tanti lutti e una vera e propria angoscia per il dolore di tante persone, dei malati e dei loro congiunti, ma anche per il dramma di chi perde il lavoro, rischia di chiudere la propria attività, non ce la fa ad andare avanti».

In questi giorni le è capitato di pregare?

«Lo faccio sempre, ma in particolare di fronte a questo dramma confido nell'aiuto di Dio, oltre che nella competenza e nella abnegazione dei nostri medici e di tutti gli operatori sanitari».

Le pesa l'isolamento?

«Stare isolati pesa ma, oltre ad essere necessario per tutelare noi stessi e i nostri cari, è anche un dovere verso la collettività, un dovere che osservo come tanti milioni di italiani e di europei. Chi ha diritto di lamentarsi davvero sono i medici e gli infermieri, che sottopagati - rischiano la vita per salvare quella degli altri. Preferirebbero certamente stare anche loro chiusi in casa».

Presidente, dieci milioni per un nuovo ospedale. Perché?

«Perché ognuno deve fare la sua parte, contribuendo come può a salvare vite umane e a vincere questa sfida. La Regione Lombardia è allo stremo delle forze, occorre approntare nuovi posti di terapia intensiva nel giro di pochi giorni. In verità al principio avevo pensato di tenere la notizia riservata, ma poi mi è stato fatto notare che questo gesto avrebbe potuto favorire una positiva emulazione così come poi in effetti si è verificato».

Allora non è vero che i soldi sono lo «sterco del diavolo».

«Questa frase di incerta paternità - c'è chi la attribuisce a San Basilio, chi a Lutero è una sintesi non troppo felice di un pensiero ben più complesso. Nel Vangelo la Parabola dei talenti spiega molto bene che accumulare ricchezze spirituali e materiali in modo onesto è un merito, non una colpa. La colpa è la cupidigia, l'incapacità di dare agli altri soprattutto nei momenti di bisogno».

Da bambino ha visto la guerra, poi ne ha viste e vissute di ogni tipo, nel bene e nel male. Avrebbe mai pensato di dover sfollare una seconda volta?

«Sinceramente no, ma in verità non sono sfollato, mi trovavo già da mia figlia Marina quando la situazione è precipitata. Tornare ad Arcore avrebbe significato violare proprio quello che chiediamo agli italiani: evitare ogni spostamento non necessario. Nel mio caso, poi, spostarmi avrebbe significato coinvolgere molte persone, esponendole a rischi inutili. E così ho fatto contenti anche i miei medici che insistevano tanto».

Quando e come ha realizzato la gravità della situazione?

«Ero molto preoccupato dal principio, da quando divenne evidente che la situazione in Cina era fuori controllo. Era ovvio che prima o poi sarebbe arrivata anche da noi. In questo senso devo dire che i Governatori del nord erano stati saggi nel chiedere da subito misure restrittive non verso i cinesi, ma verso chiunque, di qualsiasi nazionalità, avesse soggiornato in Cina».

Cosa sta consigliando ai suoi figli e ai manager delle sue imprese, immagino le stesse cose che consiglierebbe ai suoi colleghi imprenditori?

«In questo momento, di pensare prima di tutto alla salute dei nostri collaboratori. Ovviamente le aziende che ho fondato sono fortemente penalizzate come tutte le altre da quel che sta accadendo, ma è una difficoltà congiunturale che il nostro gruppo sarà certamente in grado di assorbire e di superare. Le nostre aziende devono continuare ad offrire come hanno sempre fatto un servizio di qualità nel campo dell'informazione, della cultura e dell'intrattenimento, sia in questa fase drammatica, nella quale chi informa ha grandissime responsabilità, sia quando sarà possibile riprenderci».

Tante restrizioni alla vita privata e all'impresa sono difficili da accettare, da liberale cosa ne pensa?

«Da liberale penso che il diritto alla vita e all'integrità fisica - quindi a non ammalarsi e, nel caso accada, ad essere curati - sia il primo dei diritti di libertà. Le restrizioni, per quanto sgradevoli, oltre che a noi stessi, servono ad impedire di nuocere alla vita e alla libertà degli altri espandendo il contagio».

La democrazia è una bella donna ma a volte una brutta bestia. È l'ora di un potere forte?

«Ovviamente no, anche se oggi sembra che il regime cinese, dopo gli errori iniziali, sia paradossalmente più efficiente delle democrazie nell'affrontare un'emergenza di questo tipo. In ogni caso è del tutto inaccettabile l'idea di rinunciare alle nostre libertà, o di prendere a modello un autoritarismo come quello della Cina che contraddice i nostri valori e la nostra idea stessa di libertà e di civiltà. Dovremo trovare gli strumenti, soprattutto in Italia, per far stare insieme libertà, democrazia ed efficienza dei processi decisionali».

A proposito, che effetto le fa sentir definire i cinesi «salvatori dell'Italia»?

«Se dalla Cina ci arrivano degli aiuti, ovviamente non si può che apprezzarli, al di là del giudizio politico sul sistema cinese. Ma non sarà certo la Cina a salvare l'Italia. Ci salveremo grazie all'abnegazione del mondo sanitario, all'impegno nella ricerca, alla disciplina e al senso di responsabilità degli italiani».

Se fosse stato lei al governo avrebbe imboccato la stessa strada di Conte?

«La strada della chiusura di tutte le attività non essenziali è certamente corretta. È la direzione giusta, ed anzi forse dovremo essere ancora più restrittivi, se le circostanze lo imporranno. Se sono stati commessi degli errori lo si discuterà una volta usciti dalla bufera».

Quali sono stati a suo avviso gli errori dell'esecutivo?

«Si doveva procedere prima e con più decisione, evitando annunci vaghi e l'accavallarsi di provvedimenti contraddittori. Il decreto legge appena varato è assolutamente insufficiente e non consentirà in alcun modo la sopravvivenza delle aziende e la salvaguardia dei posti di lavoro né favorirà una successiva ripresa. Certamente bisognerà fare molto di più a sostegno delle categorie economiche e del mondo dell'impresa e del lavoro».

L'opposizione ne ha fatti di errori?

«Non mi pare. Sin dal principio abbiamo collaborato in modo costruttivo con il governo come è giusto fare di fronte ad un'emergenza come questa, paragonabile per gravità solo ad una guerra».

Ha mai pensato che fosse il momento di un governo di unità nazionale, subito per l'emergenza o poi per la ricostruzione?

«Assolutamente no. Il nostro giudizio sul governo Conte rimane critico, e siamo del tutto incompatibili con i partiti della sinistra. Ora lavoriamo insieme, lo faremmo con chiunque fosse alla guida del Paese, per affrontare l'emergenza sanitaria e quella economica, senza alcun bisogno di formule politiche pasticciate. Ma i ruoli fra maggioranza e opposizione rimangono ben distinti».

L'Italia delle eccellenze mediche ed ospedaliere, soprattutto lombarde, si scopre fragile proprio in quel settore. Che cosa abbiamo sbagliato? Hanno sbagliato anche i suoi governi?

«Al contrario, mi pare che il sistema sanitario della Lombardia, pubblico e privato convenzionato, stia dimostrando ottime capacità di tenuta di fronte all'emergenza. Voglio anzi sottolineare con particolare soddisfazione il grande lavoro che sta svolgendo il nostro assessore alla Sanità della Lombardia, l'azzurro Giulio Gallera, vero protagonista insieme al presidente Fontana della difficile lotta che la Regione sta conducendo in questi giorni».

A proposito di Bertolaso, la ruota della vita gira, anche per lui, e alla fine nel momenti del bisogno tutto torna.

«In questo momento sarebbe assurdo non mettere in campo i migliori e Guido in questo campo è il migliore di tutti. Lo ha dimostrato collaborando con me quando ero premier, nella gestione di emergenze come la guerra dei rifiuti in Campania e il terremoto dell'Aquila e il suo operare è stato preso a modello in tutto il mondo».

L'Europa... solito tasto dolente.

«L'Europa deve assolutamente dimostrare di essere una comunità legata da valori condivisi, da un unico modello di civiltà e da solidarietà reciproca. Se fallisse in questo momento, se prevalessero gli egoismi, difficilmente avrebbe una prova d'appello in futuro. Certo alcune infelici dichiarazioni non hanno fatto bene. Comunque l'Europa che uscirà da questa tragedia del coronavirus sarà molto diversa da quella che abbiamo fin qui conosciuto».

Cosa può fare davvero l'Europa?

«Si tratta da un lato di coordinare una risposta sanitaria che per essere efficace deve essere omogenea, almeno a livello europeo, dall'altro di attivare tutti i meccanismi per immettere liquidità nei mercati e sostenere le imprese, a qualsiasi costo».

In che modo e con quali strumenti?

«Occorrono atti concreti. La Federal Reserve negli Stati Uniti ha già immesso sul mercato 1.500 miliardi, la Bce solo 130. Credo vada assolutamente accolta la proposta lanciata due giorni fa dal nostro Antonio Tajani: l'Europa trasformi subito il Mes, il cosiddetto fondo salva-Stati, in un fondo per lo sviluppo: ci sono centinaia di miliardi già disponibili da utilizzare, ripartendoli fra gli Stati membri, senza vincoli se non quello di destinarli allo sviluppo. Ripeto quello che ho già avuto occasione di dire. Per guarire dalla recessione le medicine sono due: la medicina monetaria e la medicina fiscale. La prima deve somministrarla l'Europa con la Bce, la seconda riguarda la nostra politica. Occorrono forti riduzioni fiscali per incentivare i consumi e gli investimenti».

Teme speculazioni sui mercati o sullo spread o pensa che la finanza sarà responsabile e farà un passo indietro?

«La finanza non è un concetto astratto: quello che accade nel mondo della finanza è il risultato dei comportamenti di milioni di persone che cercano di tutelare al meglio i propri interessi. Sta alle istituzioni finanziarie e alle autorità regolatrici e di controllo, a partire proprio dalla Bce, fare il necessario per evitare speculazioni che profittino della debolezza della Borsa e che in questo momento sarebbero particolarmente difficili da accettare. Per tutelare gli asset strategici del Paese del resto ci sono le norme nazionali, come il golden power, e le norme comunitarie. Basta metterle in pratica quando fosse necessario».

Torniamo alla malattia. Dobbiamo forzare la riapertura dell'Italia o aspettare condizioni di sicurezza assoluta?

«Forzare la riapertura significherebbe far riprendere il contagio e addirittura allargarlo. Questo avrebbe un costo inaccettabile in termini di vite umane, ma sarebbe anche un danno molto grave per l'economia».

Quanto possiamo ragionevolmente resistere dal punto di vista economico? E alla fine chi pagherà i danni?

«Fare previsioni sui tempi è veramente difficile. Dipenderà da quanto i governi, le banche centrali, l'Europa, le autorità monetarie sapranno fare per dare ossigeno all'economia. I danni poi li pagheremo tutti, purtroppo, ma ci sono modi per renderli meno pesanti. L'Italia, uscita distrutta dalla guerra, diede vita al miracolo economico. Questa situazione è simile ad una guerra ma se non altro non ci sono rovine materiali. Occorre però adottare subito, oltre a quelli d'emergenza, i provvedimenti strutturali che consentano, appena la crisi sarà superata, di ricominciare a lavorare, a crescere, ad investire. Un netto taglio delle tasse (partendo dalla immediata abrogazione dell'Irap) e delle spese pubbliche inutili e un forte abbattimento dei vincoli burocratici alle imprese sono due delle condizioni essenziali per ripartire. Bisogna metterle in cantiere ora, per essere pronti a ripartire appena possibile».

Un appello al premier Conte.

«Ascolti le nostre proposte. Il decreto appena varato ne recepisce purtroppo soltanto alcune, ma è ancora largamente insufficiente per le categorie economiche. Bisogna fare molto di più soprattutto per le piccole e medie imprese, per il lavoro autonomo, i professionisti, gli artigiani, le partite Iva. In Parlamento deve essere ampiamente modificato e migliorato perché possa avere il nostro appoggio».

Uno ai suoi di Forza Italia.

«Non ne hanno bisogno, ma raccomando sempre nervi saldi e senso di responsabilità. E lavorare per il bene del Paese. In questo momento siamo più che mai al servizio dell'Italia, nell'interesse di tutti i cittadini e non di una parte politica».

E un ultimo agli italiani.

«Prima che un appello, vorrei rivolgere un ringraziamento a tutti i cittadini.

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