Con la violenza improvvisa di una tempesta di sabbia nel deserto, un colpo di Stato filorusso nel remoto Niger arriva a scuotere una duplice illusione coltivata da troppi in questo Paese: che la sfida lanciata diciassette mesi fa all'Occidente da Vladimir Putin invadendo l'Ucraina sia non solo cosa lontana e che quindi poco ci riguarderebbe, ma anche circoscritta ai luoghi dell'aggressione. Ma come, si obietterà, cosa c'è per noi di più irrilevante del Niger? Di un poverissimo Paese africano di cui pochi in Italia saprebbero individuare la posizione su un atlante? E cosa ci può importare se i capi militari del posto hanno preso il potere esautorando l'oscuro presidente Mohamed Bazoum? Ce ne deve importare eccome, e per almeno due rilevanti ragioni.
La prima è che il Niger, collocato com'è a sud della Libia e attraversato dalle grandi piste transahariane che conducono le carovane dei migranti dall'Africa nera fin nelle mani dei trafficanti di uomini sulle coste del Mediterraneo, è un Paese strategico per il controllo di quei transiti. Non solo: fino a ieri era anche un perno fondamentale (l'ultimo, a ben vedere, con il passaggio già avvenuto del Mali dalla sfera francese a quella russa impersonata dalla famigerata Brigata Wagner) della strategia europea di contenimento del mai sopito terrorismo islamico. Due minacce che il Cremlino può facilmente trasformare in micidiali armi contro la nostra stabilità.
La seconda ragione ha il volto sinistro di Evgenij Prigozhin. Il capo della Wagner ambiguamente sempre legato a Putin, finché il dittatore russo riterrà che questa relazione gli convenga - era ieri a San Pietroburgo e non per fare del turismo. In un albergo della città che ospita il vertice Russia-Africa, Prigozhin ha incontrato emissari del Mali, del Centrafrica e guarda un po' del Niger. Quest'ultimo rischia di trovarsi presto riunito al nuovo fronte africano che Putin sta aprendo in un confronto ostile con l'Occidente che ha nella Wagner (attivissima ìn Africa) uno strumento efficace e pericoloso.
Parte della stessa operazione è il tentativo di Putin in queste ore a San Pietroburgo di attirare altri Paesi africani nella sua orbita in esplicita chiave anti occidentale ricattandoli con l'elemosina dei cereali russi dopo aver troncato a forza le forniture ucraine da cui sono dipendenti. È ampiamente ora che l'Occidente tutto comprenda l'importanza di questo nuovo fronte e ne contenga in anticipo le ricadute.
La visita alla Casa Bianca della premier Giorgia Meloni, che si è già insistentemente spesa su questa priorità strategica, rappresenta un'opportunità preziosa per ottenere la giusta attenzione da un Joe Biden ben disposto nei suoi confronti. È folle mettere la testa nella sabbia del Sahara, quanto accade in Africa è un atto di guerra contro di noi.
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