Europa

Un manifesto presidenziale

Lo squarcio sull'Europa arriva da un uomo di quasi 78 anni

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Lo squarcio sull'Europa arriva da un uomo di quasi 78 anni. Il discorso di La Hulpe, in Belgio, durante una conferenza sui diritti sociali, è un segno profondo, un solco, un corridoio che sposta l'orizzonte e lancia una scommessa: in Europa è arrivato il momento di cambiare le regole del gioco. Mario Draghi lo dice in faccia a tutti, senza giri di parole: «Quello che propongo è un cambiamento radicale». L'Unione è modellata su scenari vecchi, architetture di un altro secolo. «Il mondo sta cambiando rapidamente, e ci ha colti di sorpresa». I toni asciutti rendono ancora più esangue la timidezza istituzionale di Ursula von der Leyen davanti all'esplosione bellica in Ucraina e in Medio Oriente, che ha visto riemergere le rivalità tra le grandi potenze. E dunque, la svolta non può attendere, deve arrivare adesso, perché il ritardo con Usa e Cina è già troppo ampio e questo relega l'Europa al ruolo di Don Abbondio, vaso di coccio tra vasi di ferro. Questa però non è la predica di un leader ormai fuori dai giochi, uno che può permettersi di apparire perfino rivoluzionario con il distacco del pensionato. È l'esatto contrario. Draghi parla da candidato, con una mossa che mai nessuno in Europa aveva fatto con tanta sfrontata chiarezza. È il discorso di chi si presenta davanti agli elettori come presidente di qualcosa che ancora non c'è. È come se all'improvviso davanti agli occhi di tutti si fosse materializzata l'immagine, finora gassosa, degli Stati Uniti d'Europa. Draghi questo futuro ipotetico lo tratteggia senza nominarlo. Dice ai singoli Stati di fare un passo indietro, parla di cessione di sovranità, evoca un mercato comune degli investimenti privati, una politica economica e fiscale che supera i governi nazionali, una unione bancaria perfetta. E condanna senza troppi giri di parole l'incapacità di Bruxelles di confrontarsi sul mercato globale quanto a filiere tecnologiche e produttive. È un percorso che avvicina ciò che sembrava lontano. Il domani è adesso. Solo che in questo vuoto tra il presente e il futuro si manifesta una strana candidatura a guidare la Commissione europea, perché Draghi, senza una famiglia politica alle spalle, con il suo manifesto sembra rivolgersi a elettori europei quasi pronti per la scelta diretta del capo dell'Europa, mentre il voto è segnato dai confini nazionali su base proporzionale e la scelta del successore della von der Leyen avverrà con i vecchi compromessi parlamentari, con socialisti e popolari costretti a trovare ancora una volta una formula di compromesso per uscire dal pantano. L'effetto finisce per essere quindi un po' surreale, come se Draghi non avesse alcuna intenzione di sostituire alla maggioranza Ursula una maggioranza Mario. Il suo approccio è decisamente diverso e ne richiama la postura di quando, presidente della Bce nel momento forse più drammatico per l'Unione, lanciò il mitico «wathever it takes» che salvò l'euro da una fine prematura.

L'Europa ha bisogno di un leader e sulla piazza il più ambizioso si chiama appunto Mario Draghi, ma ci saranno le condizioni per replicare quell'indubbio successo? Forse ha giocato con troppo anticipo le sue carte e non senza una corposa dose di presunzione, ma la politica a volte deve saper mostrare anche intelligenza.

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