Forse i veri razzisti sono quelli che li giustificano in nome della loro cultura: come se la cultura rom obbligasse a delinquere, non lasciasse alternative. Invece ci sono un sacco di rom onesti. Ma con quelli che onesti non sono, spesso la giustizia si mostra comprensiva. Il caso di questi giorni a Roma è eclatante: Serif Seferovic scippa una cinese che per inseguirlo finisce sotto un treno. Chiunque altro sarebbe stato incriminato anche per omicidio, «morte come conseguenza di un altro reato». Invece il pm romano incrimina Seferovic solo per scippo, lo scarcera e lo lascia così libero di andare tre mesi dopo a bruciare vive tre giovani nomadi in un accampamento rivale. Non è un caso isolato. Le cronache di questi anni sono piene, purtroppo, di storie in cui la magistratura usa più la carota che il bastone nei confronti dei crimini dei rom. Il caso più eclatante è forse quello di Brescia, dove il tribunale del Riesame scarcerò due rom che avevano costretto una bambina di tredici anni a fidanzarsi e a andare a letto con un uomo scelto dalla famiglia: la cerimonia, scrissero i giudici, era avvenuta «secondo la tradizione propria del Paese d'origine», dunque perché indignarsi?
A Verona dovette intervenire il ministro della Giustizia per indagare sul giudice preliminare che aveva annullato gli arresti di quattro rom che mandavano i propri figli a rubare: anche lì, in nome della diversità di culture. In precedenza, il ministero si era mosso anche sul giudice di Lecco che aveva condannato assai blandamente - otto mesi di carcere - due nomadi che avevano cercato di rapire una bambina. È cultura, no? Come nella storiaccia romana di questi giorni, può accadere che il rom frettolosamente liberato commetta delitti ancora più gravi, che si sarebbero evitati tenendolo in carcere: è il caso dell’uccisione di Emanuele Adani, commerciante teramano, massacrato da tre rom ubriachi. Uno dei tre, si scopre poco dopo, era stato arrestato un anno prima con l’accusa di avere venduto quaranta chili di droga, ma era già libero. A Torino due anni fa desta scandalo la notizia di una ragazzina rom picchiata brutalmente perché rifiutava di adeguarsi alla cultura del clan e voleva addirittura trovarsi un lavoro: ma nel giro di pochi giorni lo liberano, come se la ragazza si fosse inventata tutto.
A Milano il 9 giugno 2011 il signor Pietro Mazzara viene ucciso da una Bmw con tre nomadi e un africano che scappano dalia polizia dopo una spaccata in una gioielleria. li catturano, uno dei nomadi viene condannato a otto anni ma dopo meno di un anno è fuori per decorrenza termini, pronto a derubare una vecchietta col trucco dello specchietto. A Torino un giudice assolve dall’accusa di violenza privata una madre rom che per impietosire i passanti teneva in pieno inverno la figlia neonata a un incrocio, la condanna solo per «impiego di minori nell’accattonaggio» e le concede le attenuanti generiche «in relazione alla cultura dell'appartenenza etnica». Sullo stesso tema, a Bergamo un giudice va ancora più in là, e assolve un padre rom che lasciava la figlia di sette anni da sola agli incroci: «i bambini stessi sono abituati a queste situazioni e conoscono perfettamente lo stile di vita nel quale sono destinati a crescere».
A Bologna un meccanico di 72 anni, Quinto Orsi, scopre un giovane rom che sta rubando un auto davanti alla sua officina, quello lo schiaccia contro il muro e lo ammazza: condannato a sedici anni in primo grado, in appello gli dimezzano la pena E si potrebbe andare avanti, in una ridda di decisioni dove si affollano sociologismi da bar e indulgenze senza capo nè coda: e di cui alla fine le vere vittime sono anche i rom onesti, che si vedono riapparire nei loro campi i criminali dopo una manciata di giorni dall’arresto, pronti a riprendere a spadroneggiare; e pronti a insegnare ai ragazzini che in Italia rispettare la legge è da scemi.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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