Quel proiettile dalla finestra: così Marta Russo è stata uccisa a 22 anni

Il 9 maggio 1997 un proiettile colpì alla testa Marta Russo, studentessa dell'Università La Sapienza di Roma. Per la sua morte vennero condannati due assistenti dell'istituto. La sorella: "Non accetto che in alcune ricostruzioni si parli ancora di mistero"

Quel proiettile dalla finestra: così Marta Russo è stata uccisa a 22 anni

Erano le 11.42 del 9 maggio 1997. Migliaia di studenti si aggiravano tra i portici e i corridoi dell'Università La Sapienza di Roma. All'improvviso un tonfo echeggiò tra i vialetti interni dell'istituto e Marta Russo cadde a terra. Un proiettile l'aveva colpita poco sotto l'orecchio sinistro. Marta, 22 anni e iscritta alla facoltà di Giurisprudenza, morirà quattro giorni dopo in ospedale e per la sua morte verranno condannati due assistenti universitari di Filosofia del Diritto: Giovanni Scattone, per omicidio colposo aggravato, e Salvatore Ferraro, per favoreggiamento. Si tratta di uno dei casi di cronaca che sconvolse l'Italia alla fine degli anni '90 e che è stato protagonista, ieri sera, della prima puntata di Crime Doc, una serie di cinque prime serate, in onda su Raidue, che ripercorre i grandi casi di cronaca italiani.

Lo sparo all'Università

Quella mattina Marta si era recata in università per trascorrere quella che avrebbe dovuto essere una giornata come tante. Ma alle 11.42, mentre camminava lungo un vialetto dell'istituto, al fianco dell'amica Iolanda Ricci, venne raggiunta da un proiettile, "proveniente da sinistra dall'altro, leggermente da dietro", come precisato dall'ultima sentenza di Cassazione, riportata da Misteri d'Italia. Il proiettile perforò l'encefalo, lasciando un piccolo buco proprio sotto l'orecchio sinistro. Marta cadde a terra vicino a un'aiuola che si trovava tra le facoltà di Scienze Statistiche e Scienze Politiche. I soccorsi trasportarono la ragazza già priva di conoscenza al vicino Policlinico Umberto I, dove arrivò in coma. Vi rimase per quattro giorni, fino al 13 maggio 1997, quando alle 22 i medici constatarono la morte cerebrale: il giorno dopo venne staccata la spina ai macchinari che la tenevano in vita e la ragazza venne dichiarata morta.

I genitori Donato e Aureliana e la sorella Tiziana decisero di donare gli organi di Marta, prestando fede a un desiderio precedentemente espresso dalla ragazza. Nel frattempo gli inquirenti avevano iniziato ad analizzare la scena del crimine, per capire da quale punto fosse partito il colpo. Inizialmente venne individuato un bagno al piano terra della facoltà di Statistica e sotto la lente degli investigatori finirono i dipendenti della ditta di pulizie Pultra, dato che nel loro magazzino vennero trovati due vecchie cartucce. "Per l'individuazione della provenienza dello sparo - si legge nell'ultima sentenza della Cassazione -le indagini subito 'si appuntarono (...) sulla finestra n.7 del bagno disabili della facoltà di Statistica posto al piano terra, in prossimità del luogo del ferimento'".

L'aula 6

Giovanni Scattone al processo
Giovanni Scattone al processo

Poi, dopo qualche giorno, il colpo di scena: l'attenzione si spostò sull'aula numero 6 della Sala Assistenti dell'Istituto di Filosofia del Diritto, "in seguito al rinvenimento sulla finestra destra n.4 di quell'aula di una particella composta da bario e antimonio, indicativa dello sparo". L'esame effettuato col puntamento laser confermò che il colpo partì da quella stanza, una tesi che verrà contestata durante i processi. Così nel registro degli indagati finirono decine di persone legate all'ateneo. Le prime rivelazioni vennero rilasciate da un'assistente di facoltà, Maria Chiara Lipari, che era entrata nella stanza due minuti dopo lo sparo, e Gabriella Alletto, la segretaria dell'istituto, che venne ritenuta presente nell'aula al momento del ferimento di Marta. A finire nel mirino furono due assistenti di Filosofia del Diritto e l'usciere dell'istituto, rispettivamente Salvatore Ferraro, Giovanni Scattone e Francesco Liparota. Iniziò così la trafila giudiziaria, che portò alla condanna di Scattone per omicidio e di Ferraro per favoreggiamento.

I processi

Il 1°giugno del 1999 la Corte d'Assise di Roma condannò i due uomini, sostenendo che Scattone, come pure Ferraro, "si trovava all'interno della sala assistenti (stanza n. 6) dell'Istituto di Filosofia del Diritto". Una delle prove, fortemente messa in dubbio, era costituita dalla testimonianza di Alletto, che inizialmente aveva negato di essere in quell'aula, ma che "il 14 giugno 1997 aveva improvvisamente cambiato versione", affermando di essere presente al momento dello sparo e di aver sentito un "tonfo" e aver visto un "bagliore". Disse che nella stanza c'erano anche i due assistenti e ricordò di aver visto Ferraro mettersi le mani nei capelli in segno di spavento. "Poi ho visto Scattone ritrarsi dalla finestra. Aveva qualcosa in mano, una cosa che brillava. (...) Ho visto qualcosa che brillava nelle mani di Scattone", dichiarò ancora la donna. In molti contestarono la testimonianza, sostenendo che Alletto venne sottoposta a numerosi interrogatori stressanti (13 volte in pochi giorni), nei quali inizialmente affermava di non essere presente in quella stanza, come mostrano le trascrizioni dell'interrogatorio dell'11 giugno 1997.

Salvatore Ferraro

Il processo di secondo grado, con la sentenza del 7 febbraio 2001, confermò la condanna per i due assistenti e aggiunse la condanna per favoreggiamento di Liparota, ma il ricorso in Cassazione annullò la sentenza, chiedendo un nuovo processo. Il 30 novembre 2002 la Corte d'Assise d'Appello sostenne: "La colpevolezza degli imputati deve essere confermata", per il rilievo probatorio delle dichiarazioni accusatorie di Aletto, per cui venne verificata "la piena attendibilità". Inoltre "l'alibi fornito da Salvatore Ferraro è risultato sostanzialmente falso", dato che lasciava scoperto il lasso di tempo tra le 11.17 e le 12.56. Anche "l'alibi di Giovanni Scattone evidenzia l'oggettiva inconsistenza, addirittura comprendendo l'ammissione della presenza nelle vicinanze". Per questo, stabilì il processo bis, "la valutazione conclusiva (...) si risolve nella conferma della dichiarazione di responsabilità dello Scattone (assolutamente privo di alibi) per l'omicidio di Marta Russo e per gli altri reati contestati", di Ferraro per favoreggiamento e di Liparota per favoreggiamento. Infine l'ultima sentenza della Corte di Cassazione confermò in via definitiva la condanna a 5 anni e 4 mesi di reclusione per Scattone e 4 anni e 2 mesi per Ferraro. Assolto invece Liparota.

I processi furono caratterizzati da numerose contese, tra perizie che arrivarono a diverse conclusioni e dichiarazioni messe in dubbio. Numerose persone, tra cittadini, giornalisti, avvocati e politici, ancora prima della sentenza di primo grado, firmarono una petizione per un esposto a favore degli imputati e negli anni successivi si formò un comitato per la difesa di Scattone e Ferraro. La complessità del caso, che sollevò un elevato interesse mediatico, portò a definire la vicenda come uno dei misteri di cronaca nera italiana, nonostante la condanna in via definitiva di due imputati."Non accetto che in certe ricostruzioni si parli ancora di mistero - ha precisato la sorella di Marta, Tiziana, come riportato dall'Ansa - Per i giudici di cinque gradi di processo i colpevoli sono loro".

Marta era una studentessa che quel giorno, come tante altre, si trovava in università per studiare e provare a realizzare i propri sogni: "Voleva laurearsi per difendere i più deboli, era determinata, una studentessa modello", ha riferito ancora la sorella, che ha ritrovato dei diari di Marta, mostrati durante la trasmissione su Rai2. "È l'occasione per far uscire l'immagine di Marta dal caso di cronaca nera e farla diventare, una figlia, una sorella, un'amica".

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