È un po' come il mantello della Madonna che tutto copre in certi affreschi medioevali. La grazia presidenziale leva la pena, certo, ma non può spegnere la nostra inquietudine. Tre storie cupe, fatte di dolore e solitudine, su un confine difficile dove la giustizia e il suo pallottoliere non bastano. Ci vuole altro e altro ha fatto il capo dello Stato Sergio Mattarella: ha firmato tre decreti e ha fatto uscire dal carcere altrettanti uomini. Due avevano ucciso le mogli malate, il terzo aveva abbattuto il figlio tossicodipendente che minacciava i genitori.
Storie terribili, tragedie senza orizzonte da qualunque lato le si guardi e Mattarella ha provato a restituire un briciolo di cielo a chi era sceso fino agli inferi.
Giancarlo Vergelli, 88 anni, aveva strangolato la moglie malata di Alzheimer con una sciarpa ed era rimasto a vegliare il cadavere per un'ora, poi si era consegnato agli agenti mormorando poche parole di resa: «Non ce la faccio più». Era il 22 marzo 2014. Nel 2016 la corte d'Appello di Firenze l'aveva condannato a 7 anni e 8 mesi, ora è fuori. Libero, anche se saturo di sofferenza, per un delitto avvenuto solo ieri. Ci si chiede se sia giusto intervenire in tempo quasi reale, quando il passato è ancora presente. Così il sollievo si mischia a qualcosa che non riusciamo a definire, ma che stride. Ancora di più perché solo l'anno scorso la Cassazione aveva confermato la pena spiegando che il gesto non poteva avere un «particolare valore etico». Era solo un omicidio, o quasi. Mattarella è andato oltre, incrociando le spade, in un certo senso, con gli ermellini. Non una sconfessione della sentenza, ci mancherebbe, e però un superamento che dà conforto e, nello stesso tempo, mette a disagio. Ancora di più perché siamo su una frontiera mai tranquilla dove diverse visioni del mondo e ideologie si combattono e la cronaca è una gimcana senza requie.
Qualcosa stride pure nella vicenda di Vitangelo Bini che nel 2007 aveva sparato tre colpi alla moglie, pure aggredita dall'Alzheimer e bloccata in un letto d'ospedale. Un omicidio dettato dalla pietà più disperata. Ora Mattarella scioglie il groviglio.
Ancora più intricata la terza vicenda, ambientata a Fiume Veneto, nel Nordest. Nel 2015 Franco Antonio Dri aveva ammazzato con un colpo al cuore il figlio tossicodipendente, quarantasettenne, al termine dell'ennesima lite. Gli abitanti del paese avevano raccolto mille firme, in testa quella della mogie Annalisa, per chiedere la scarcerazione dell'ex commerciante di elettrodomestici, destinato a rimanere in cella altri tre anni e mezzo.
Difficile confrontarsi con vicende in cui l'età avanzata dei protagonisti, le condizioni di salute traballanti e il vuoto interiore giocano un ruolo decisivo. E però le tre storie, soprattutto le prime due, sfiorano con la loro ingombrante presenza altri capitoli infiammati della nostra storia recente, fra polemiche e scintille. I giudici di Milano hanno congelato il caso di Marco Cappato che aiutò dj Fabo a morire in Svizzera, nella speranza che nei prossimi mesi il Parlamento torni sullo scivolosissimo argomento. L'aritmetica giudiziaria è il punto di partenza, ma l'approdo è altrove.
I decreti firmati da Mattarella, dopo l'istruttoria favorevole del ministero, riguardano tre persone con nome e cognome. Solo loro e i drammi che portavano sulle spalle.
Ma siamo, mai dimenticarlo, in un sistema di vasi comunicanti e, dunque, queste decisioni, dettate da un grande senso di umanità, possono offrire nuovi spunti, anche strumentali, alle interminabili querelle in corso.Speriamo che non sia così. E che il mantello della pietà sia inteso per quello che è. Non come un salvacondotto verso terre oggi proibite.
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