Un mattatore della vita finito con poca gloria

Trascinatore per simpatia e carisma, magmatico come la sua Sicilia, è stato anche una figura tragica

Un mattatore della vita finito con poca gloria
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Emilio Fede, nonostante tutto, era ancora vivo. Non so se ne avesse ancora coscienza, dato che da anni era già stato sepolto sotto badilate di calce viva, tali da squagliare le ossa di un santo martire. E lui non era certo santo, e se è stato martire, è stato un complice forse volontario della sua fine, solitaria e senza gloria. Eppure qui desidero restituirgliene un po', non tanta, quella che merita. Da anni era stato raffigurato come una macchietta, ma senza benevolenza alcuna, trattato da giornalisti scalcagnati quasi fosse un ometto maligno, dimenticando quel che egli è stato nel lavoro, che per me è quanto più conta nel definire la serietà di un uomo: un giornalista fenomenale. Aveva una qualità da rabdomante come nessuno prima di lui: non si sa come, un attimo prima della notizia era giusto lì, davanti alla telecamera, senza un appunto, con una immagine sbiadita che gli sarebbe apparsa davanti. Accadde nel 1991, in gennaio, fu il primo al mondo a far vedere ai suoi spettatori il bombardamento di Bagdad, guerra del Golfo. L'inizio di tutti i guai che ancora oggi perseguitano il mondo, ebbero lui per cronista. Culo? Se lo fu, diciamo che si è esaurito in quel momento, almeno nel senso buono del termine. Infatti tutti i vizi o vezzi, virtù o difetti gioco, donne, amicizie, battutacce, rancori che ha praticato nel corso della sua esistenza gli sono tornati tutti dolorosamente in quel posto lì.

Ricordo di lui, con nostalgia amara, le serate trascorse un mercoledì al mese, con i direttori di quotidiani e televisione in un ristorante milanese, e lui ne era il mattatore indiscusso, divertente come nessuno. Ho detto divertente, e non ci sta questa parola adesso. So che la terra non gli sarà lieve. Non era il tipo. Era un siciliano, e neanche la morte lascia la gente di quelle parti.

È stato un personaggio da romanzo. Tragico e simpatico insieme, complesso ed enigmatico, spontaneo negli atteggiamenti, ma non sempre schietto come appariva. Aveva un livore sotterraneo, non era una colpa, ma un'eredità secolare, qualcosa di lavico, corrosivo, un magma che lo ha tenuto in vita per 94 anni, ma consumandogli la pelle e l'anima. Di certo è stato però capace, oltre che di risentimento, anche, e vorrei dire soprattutto, di amore. Era in carcere domiciliare, per vicende che non giudico: evase per festeggiare la sua donna, Diana. Fu arrestato a Napoli, a 90 anni, per una fuga da ragazzino. Credo infine che, nonostante il mazzo delle figurine da campione di gnocca, alla fine ne avesse avuta una sola, di donna: morta lei, la sua vita è stato un trascinamento di stracci.

Non ho nominato Berlusconi. Il suo dio in terra. Ci penseranno altri a prenderlo in giro per questa passione.

Ma lui viveva soprattutto per il suo mestiere. Nel suo ufficio al Tg4 teneva appese fotografie che lo ritraevano con Aldous Huxley fra Eugenio Montale e Italo Calvino a Torino, nel '62; con Hailé Selassié ("ero l'unico giornalista che il Negus riceveva"), con Salvador Dalí ("mi veniva a prendere all'aeroporto di Barcellona"), con Bettino Craxi, con Giovanni Paolo II mentre gli metteva in bocca l'ostia consacrata, ovviamente allo scopo di poter dirigere il Tg1, che per lui valeva uno spergiuro. E con Silvio Berlusconi, naturalmente. "Qui taglia la torta per il mio compleanno nel castello di Paraggi", dettagliava orgoglioso con gli ospiti, "qui siamo sulla nave azzurra di Forza Italia, qui con sua mamma Rosa, qui...". La Valentine rossa con la quale scriveva gliel'aveva regalata Carlo De Benedetti, allora proprietario dell'Olivetti: "Quando seppe che m'ero privato della mia Lettera 22 per un'asta di beneficenza, fece prelevare questo esemplare disegnato da Sottsass esposto al Moma di New York e me lo consegnò".

Brutto addio il suo. Un'abitudine per lui. Ci aspettavamo che quello da Mediaset, fosse accompagnato da una cerimonia solenne, tutta lacrime e champagne. Previsione sbagliata. Licenziato. La vita non rispetta mai il copione suggerito dai nostri desideri.

Fede ha commesso molti errori, ma non sarò certo io a rammentarglieli mentre sta lì, immobile e terreo.

Oltretutto il mio zaino di stupidaggini è (quasi) altrettanto colmo e cerco con fatica di tenermelo ben stretto sulle spalle.

Aveva sognato di riposare nel mausoleo di Arcore, accanto a Berlusconi. Si è dovuto accontentare di morire a Segrate, vicino al luogo dov'è morto. Che tristezza, povero amico.

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