Cronache

Quando al paziente 1 dissero: "Covid non sa nemmeno dov'è Codogno"

Mattia Maestri, il ''paziente uno'' del focolaio di Codogno, racconta i giorni del suo calvario: "È stato come vivere un film ma non penso di essere il primo caso di Covid"

Quando al paziente 1 dissero: "Covid non sa nemmeno dov'è Codogno"

"Penso di non essere io il 'paziente uno'". A parlare è Mattia Maestri, noto alle cronache come 'paziente uno' da quando, lo scorso 21 febbraio, è stato registrato come il primo caso accertato di Covid-19 all'ospedale di Codogno, in provincia di Lodi.

"Ho scoperto di essere il 'paziente 1' solo una volta che ho preso in mano il mio smartphone. È lì che ho capito cosa fosse successo e cosa stesse ancora accadendo. Fino ad allora sapevo solo che ero stato ricoverato per una polmonite, era ciò che mi avevano detto. Ma confesso che non mi pesa essere chiamato così. Tuttavia, non penso proprio di essere stato il paziente numero 1". Comincia così la lunga intervista che il 38enne codognino, manager Unilever e podista per passione, ha rilasciato ai microfoni di Sky Tg 24. La sua vicenda personale è diventata di dominio pubblico durante le settimane più calde dell'emergenza sanitaria, tanto da tenere l'Italia intera col fiato sospeso. "Solo quando mi sono svegliato mi hanno raccontato cosa c'era in giro e ho capito la gravità di quanto stava accadendo - spiega -Mi sento fortunato. Ho pensato molto dove possa aver preso il virus ma non ho la benché minima idea di questo dove possa essere accaduto. Sia io che mia moglie, nelle nostre ricostruzioni, non siamo venuti a capo di un possibile punto d'inizio. E non c'entra nulla neppure il mio amico tornato dalla Cina".

Tutto è cominciato una insospettabile sera di febbraio. Mattia manifesta uno stato febbrile preoccupante accompagnato da una severa sofferenza respiratoria. Il malessere perdura per circa una settimana fino a quando, nella notte tra il 20 e il 21 febbraio, è costretto a rivolgersi al pronto soccorso dell'ospedale di Codogno per chiedere aiuto. I medici che lo assistono riscontrano una preocupante quanto anomala infezione polmonare. Dopo un inziale momento di smarrimento, la dottoressa Annalisa Malara, anestetista presso la struttura, sospetta si tratti di una patologia virale. Così, sottopone il 38enne al tampone faringeo; l'esito del test fuga ogni dubbio: si tratta di coronavirus. Il podista viene trasferito immediatamente all'ospedale San Matteo di Pavia dove viene intubato e supportato con ventilazione assistita. Le sue condizioni sono disperate al punto che, per molti giorni, il bollettino medico non evidenzia segnali di recupero. Gli specialisti che si fanno carico del caso, Raffaele Bruno e Francesco Moioli,azzardano cure disperate: si tenta il tutto per tutto pur di salvargli la vita. E alla fine, un cocktail di antivirali e farmaci utilizzati per contrastare l'Hiv lentamente riescono a guarirlo. Il 10 marzo, l'equipe del presidio pavese, annuncia che Mattia ha ripreso a respirare autonomamente e presto sarà trasferito in reparto.

Sono state settimane dure e impegnative quelle della malattia ma Mattia sdrammatizza con un aneddoto: "Se penso oggi a un episodio capitato durante il mio secondo ricovero sorrido. - racconta - Chiedo ad un operatore sanitario se potesse essere un caso di coronavirus e in dialetto mi risponde 'il coronavirus Cudogn Ensà nianche addu stà che significa 'il Coronavirus non sa neanche dove sia di casa Codognò e invece siamo stati l'inizio di tutto".

"Penso che sia stato più di un film quello che ho vissuto, - racconta Mattia - però, con un lieto fine: la nascita di mia figlia Giulia. E tutto il resto l'ho voluto mettere in secondo piano". Oltre al calvario della malattia, il 38enne ha dovuto elaborare anche il lutto per la perdita del papà, Moreno Maestri, morto pochi giorni che il figlio fosse dimesso dall'ospedale. "Di mio padre non mi hanno detto subito. - continua -L'ho saputo poche ore prima che se ne andasse. Mio padre è stato ricoverato anche lui a Varese in terapia intensiva e, solo dopo aver avuto il telefono, parlando con mia madre, ho saputo che era grave. Dopo mezza giornata, il 19 marzo, nella giornata della festa del papà, lui se ne è andato".

Nonostante sia difficile gettarsi il passato alle spalle, Mattia ora prova a guardare avanti. A suo fianco ci sono gli amici di sempre, la moglie Valentina e la piccola Giulia, venuto al mondo qualche settimana dopo le sue dimissioni. "Giulia è arrivata in anticipo, ma anche se non ero nel pieno delle forze, sono riuscito ad assistere al parto. Ancora oggi, che continuo ad essere a riposo, me la godo tutto il giorno. Mi sono addormentato con il pensiero che stesse per nascere appena prima che mi sedassero. - racconta - Proprio perchè non si sapeva fosse il Covid, ho avuto la possibilità di accarezzare il pancione di Valentina. Mi ricordo di averle detto che avrei fatto di tutto per tornare. E ce l'ho fatta".

In conclusione dell'intervista, Mattia rivolge un ringraziamento sincero ai medici che gli hanno salvato la vita: "Ricorderò il dottor Bruno, il mio nuovo papà. - conclude - Io ho perso il mio per questa malattia ma Bruno che mi ha salvato lo considero così. E poi la dottoressa Malara.

È stato grazie a lei, al suo intuito e al suo coraggio che è stato scoperto il coronavirus".

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