Cronache

Il mistero delle vite interrotte che unisce piccoli e potenti

Da Steve Jobs a Marchionne, quando il destino colpisce i più grandi capiamo quanto ognuno di noi sia unico

Il mistero delle vite interrotte che unisce piccoli e potenti

Mentre scrivo Sergio Marchionne c'è ancora, ma sappiamo già tutti che non ci sarà più. Anzi, già non c'è più. In fondo, questa è la vera notizia. Nell'epoca della post-verità, anche la costruzione di una notizia vera (e triste) deve seguire la logica delle fake news.

Sergio Marchionne è ancora vivo, forse, ma bisogna cominciare a dire che gli ambiti in cui la sua vita si è messa in gioco sono stati già tutti, rapidamente, sostituiti da qualcun altro. La vita va avanti, ha già ricominciato ad andare avanti, meglio: non ha mai smesso di andare avanti. Se il corpo non è morto, è morta la funzione che quel corpo ha rivestito. I giornali si sono già riempiti di coccodrilli, che lo stesso Marchionne magari potrebbe leggere, e pensare: ecco: io fui questo e quello.

In tutto questo non c'è nulla di cinico. Le cose vanno, sono sempre andate così. Cambia la comunicazione, ma la legge è la stessa: è la legge del rapporto tra vita pubblica e vita privata, una legge che riguarda in realtà tutti noi. Un rapporto tutt'altro che semplice. Da un lato, Marchionne è come un re francese che dopo anni di governo, impossibilitato ad adempiere alle proprie molteplici funzioni, viene sottratto agli occhi del mondo, mentre il suo posto comincia a essere occupato da altri. Ma è anche come un padre di famiglia, uno come tutti noi, che un giorno incappa in una brutta sorpresa, una di quelle notizie che prima o poi arrivano per ciascuno di noi: e da quel giorno non lo si incontrerà più in ufficio, non si scambieranno più parole scherzose alla pausa-caffè, e la sua scrivania sarà occupata da qualcun altro, con cui per qualche tempo scherzeremo alla pausa-caffè.

C'è, però, anche l'altro lato della faccenda. Quello più oscuro, quello più pieno di incognite. In un bellissimo film di Kurosawa degli anni Ottanta, Kagemusha - L'ombra del guerriero si racconta la storia di un grande condottiero, Shinghen, terrore dei nemici, il quale, durante l'assedio a una città, in una fase di guerra non troppo cruenta, viene colpito a morte da una fucilata nemica. Subito, mentre ancora vive, quest'uomo viene sottratto dal suo stretto entourage alla vista del nemico, e viene sparsa la voce che è vivo e guarirà. La notizia giunge ai nemici, che, impauriti, data la fama del condottiero, non osano dare battaglia. Intanto, un avanzo di galera che però somiglia a Shinghen viene istruito a parlare come lui, a ripetere alcune sue frasi. Nei consigli di guerra viene fatto sedere a distanza, così che gli alleati non si accorgano della sostituzione. Ma, naturalmente, questo sosia non ha alcuna capacità, così che la situazione della guerra si blocca: nessuno osa fare un passo. Alla fine il figlio di Shinghen, tenuto all'oscuro, scopre il gioco e assume il comando dell'esercito. Giovane e temerario, attacca battaglia ma, come previsto, subirà una rovinosa sconfitta.

Questo è l'altro lato della faccenda: l'uomo. Alla morte non c'è rimedio. Le alternative per chi resta sono la ripetizione o la dissipazione, perché l'uomo, lui, non esiste più.
Non è detto che debba andar male come nel film di Kurosawa, ma qualcosa si perde per sempre. Pensiamo alla morte di Steve Jobs, al segreto della sua tomba, alla sua santificazione frettolosa, alla scomparsa del suo corpo e alla sua immagine, dove lo speculatore cinico e il quasi-santo si sovrappongono in un'icona difficilmente cancellabile.

Qualcosa continuerà su basi nuove, l'eredità di chi ha lasciato dovrà essere per forza interpretata, studiata, e qualcosa sfuggirà comunque, e qualcos'altro dovrà essere portato in modo originale (come lo è stato Marchionne) da chi lo sostituisce. In fondo a tutto questo, c'è lo scandalo perenne della nostra vita, che non si raccoglie mai in un «senso» leggibile, logico, in un racconto con un capo e una coda. C'è sempre un'interruzione, c'è sempre un cartello «strada interrotta», c'è sempre qualcosa che si ferma sul più bello. Lo sviluppo armonioso esiste solo nei romanzi, dove tutto - anche la tragedia - riceve il lume pietoso di una spiegazione.

Ma nella vita i progetti si spezzano. Non c'è armonia, non c'è un senso che si possa davvero raccontare. Parliamo tanto di storytelling, ma è un gioco, uno scherzo.
Nessuno è insostituibile, questo si sa. Ma non crediamo di poter raccontare davvero la storia di un uomo.

E di fare bilanci, che non spettano a noi, anche se poi siamo costretti - per i figli, per la madre, per i lettori, per i telespettatori - a farli lo stesso.

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