Cronache

"È il momento di fare soldi". L'inchiesta su Arcuri e le intercettazioni choc

Nelle conversazioni tra gli indagati, i risvolti del caso del maxiacquisto di mascherine dalla Cina risultate non conformi. E un'ex funzionaria della dogana rivela: "C'erano molte pressioni"

"È il momento di fare soldi". L'inchiesta su Arcuri e le intercettazioni choc

Soldi. Operazioni milionarie e presunti affari nell'Italia del Covid. Il quadro che emerge dall'inchiesta sull'acquisto di oltre 800 milioni di mascherine, comprate dalla struttura commissariale guidata da Domenico Arcuri e risultate poi pericolose, è inquietante. E fa arrabbiare. Perché, secondo le accuse, nei mesi in cui il Paese iniziava il calvario della pandemia c'era chi discuteva di possibili guadagni. "Adesso è il momento di fare soldi, cinque anni durerà questa bonanza. Sono miliardi, dobbiamo organizzare la squadra", avrebbe addirittura detto nel novembre 2020 il faccendiere Jorge Solis, coinvolto nel caso finito al vaglio degli inquirenti.

Per quelle circostanze, oltre all'ex commissario Arcuri rischiano il rinvio a giudizio altre 11 persone. Tra loro l'imprenditore Mario Benotti, cui è contestato il traffico di influenze illecite, e Antonio Fabbrocini, responsabile unico del procedimento per la struttura commissariale accusato di frode nelle pubbliche forniture, falso e abuso d'ufficio. Le contestazioni dei pm ruotano proprio attorno a quella maxi-fornitura di dispositivi di protezione rivelatisi non a norma, inizialmente bloccati alla dogana, fino a quando a Malpensa non arrivò da Roma un documento che di fatto dava il via libera alla merce senza controlli. A firmare quelle carte, Antonio Fabbrocini.

Nei giorni scorsi, i magistrati di piazzale Clodio aveva fatto cadere per Domenico Arcuri le accuse di corruzione e peculato. Un responso rispetto al quale l'ex commissario aveva espresso "soddisfazione". Ma l'intera vicenda ha ancora molti aspetti che chiedono d'essere chiariti, o quanto meno approfonditi. Come riporta Il Messaggero, il faccendiere Jorge si sarebbe confrontato ad esempio con i suoi soci raccontando di avere appena acquistato un Rolex Daytona da 39mila euro e facendo progetti per i prossimi cinque anni. In altre conversazioni di cui il quotidiano romano dà notizia, Benotti interloquiva con Tommasi, che con 46 milioni di provvigione aveva già fatto arrivare le mascherine dalla Cina. Al centro della conversazione, altre proposte da fare alla struttura.

"Gli ho scritto che cosa gli avrei mandato, lui mi ha detto benissimo e Domenico ha detto: guarda, comunque leggila perché ti ripeto è abbastanza sintetica", si legge nelle intercettazioni, secondo quanto riporta Il Messaggero. Replica Benotti: "Ti ricordi quando gli mandasti la mail che dovevano dare fuori 100 milioni, si sbrigarono e dopo un quarto d'ora ne tirano fuori cinquanta?". Benotti conferma: "Un quarto d'ora ci misero". In questo caso, il nuovo obiettivo era un ordine di guanti. "Noi gli diamo le quotazioni", avrebbe detto Tommasi. E Benotti: "Facciamo venire interi aeroplani di guanti". L'interlocutore: "Di guanti, esattamente che però ripeto c'è poco gusto, perché poco guadagno, un c... e c'è tanto casino però va bene, insomma".

Risultano inoltre poco chiare anche le già citate circostanze avvenute alla dogana. Lo scorso 14 febbraio, un'ex addetta agli uffici sdoganamenti cargo aveva raccontato ai militari del nucleo di polizia valutaria della finanza: "Ho sempre ritenuto che nel periodo in cui in Italia si è acuita la pandemia da Covid-19, ci fossero delle criticità nelle importazioni di materiale sanitario destinato al Commissario straordinario. Le importazioni non seguivano le ordinarie procedure di sdoganamento, ma avevano un circuito preferenziale. Ricordo che su queste importazioni c'erano molte pressioni, suppongo dai nostri vertici di Roma". La funzionaria ha spiegato inoltre che nonostante le richieste dei certificati di conformità, "queste certificazioni non venivano esibite quindi la merce era ferma in dogana".

Poi la svolta, con l'arrivo di quel documento, proveniente dagli uffici centrali di Roma delle dogane, nel quale si "attestava che una serie di produttori di mascherine importate a favore della struttura commissariale rispondevano ai requisiti previsti dalla normativa". In ogni caso - si legge nei verbali - "non abbiamo mai ricevuto le certificazioni Ce. Sulla base di questo documento, una sorta di lascia passare, abbiamo sdoganato la merce".

Così quei dispositivi sono poi finiti nelle strutture sanitarie di tutta Italia.

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