Il killer del "gioco delle Coppie" che uccise oltre cento persone

Rodney Alcala era stato condannato alla sedia elettrica per vari omicidi: soprannominato The Dating Game Killer, uccideva con una lenta agonia

Il killer del "gioco delle Coppie" che uccise oltre cento persone

Soffocava le sue vittime fino a quasi alla morte. Le aiutava a riprendersi. Le soffocava ancora. Il serial killer Rodney Alcala uccideva con una lenta agonia: per 5 omicidi è stata riconosciuta la sua colpevolezza, per altri è stato indagato o incriminato, ma si ritiene che le sue vittime possono essere oltre un centinaio.

La sua metodica è stata paragonata a quella di Ted Bundy. Le vittime di Alcala venivano rapite per lo più con la scusa di essere ritratte da un fotografo professionista. Dopo essere state uccise, i loro corpi venivano abbandonati in pose ben studiate: era questo il suo “marchio”, il marchio del mostro. Alcala è morto il 24 luglio 2021 in California per cause naturali all’età di 77 anni, riuscendo a beffare la sedia elettrica alla quale era stato condannato. Era soprannominato The Dating Game Killer.

Il soprannome

Nel 1978, cioè nel periodo in cui Alcala era segretamente attivo come serial killer, partecipò a un dating show televisivo. Si tratta di “The Dating Game”, il format statunitense che in seguito avrebbe dato vita in Italia a “Il Gioco delle Coppie”. Funzionava in questo modo: una ragazza doveva scegliere tre pretendenti dietro a un muro (e quindi senza vederli), in base alle risposte date alle proprie domande. Il pretendente scelto vinceva un appuntamento con la reginetta dello spettacolo. La ragazza scelse proprio Alcala, nonostante le sue risposte "bizzarre", ma decise di non uscire con lui perché ne era spaventata. C’è chi ritiene che la furia del serial killer Alcala ebbe un impulso importante a partire da quel rifiuto decisamente pubblico e umiliante.

Il primo crimine

Rodney Alcala

Nonostante di tanto in tanto qualcuno notò e diagnosticò in Alcala qualche problema psico-sociale, l’uomo visse un’esistenza in gran parte normale fino al suo arresto definitivo. Nel 1961 per esempio si unì all’esercito degli Stati Uniti, ma fu rimandato a casa perché gli fu diagnosticato un disturbo antisociale della personalità. Studiò da fotografo, frequentando alla Ucla le lezioni tenute dal regista Roman Polanski, e prima di essere arrestato ebbe un’interessante carriera di fotografo e tipografo in alcune testate anche molto importanti, sebbene qualche collega, visionando il suo portfolio “artistico” e privato, notò che qualcosa non quadrava: Alcala possedeva fotografie di centinaia di minori, sia ragazzini che ragazzine, nudi e ipersessualizzati. Erano immagini terribilmente disturbanti, ma Alcala assicurava, a chi sollevava obiezioni, che i genitori dei soggetti erano d’accordo e avevano firmato una liberatoria. Alla sua risposta nessuno poneva ulteriori domande.

Il primo crimine noto agli inquirenti riguardò appunto una bambina. Si trattava di Tali Shapiro, 8 anni nel 1968, quando fu rapita, stuprata e picchiata con una spranga di metallo: la polizia riuscì a trovarla viva su segnalazione di un vicino di Alcala che aveva visto tutto, ma il criminale era già fuggito. Successivamente fu inserito tra le persone maggiormente ricercate all’Fbi e il suo volto fu dappertutto, tanto che nel 1971 due bambini lo riconobbero in un manifesto e l’uomo fu arrestato.

Era forse troppo tardi: qualcuno aveva ucciso a New York, strangolandola con i suoi collant, l’assistente di volo Cornelia Crilley. Per questo crimine Alcala venne incriminato solo più tardi, quando il serial killer venne arrestato per il suo ultimo omicidio, ma non gliene fu riconosciuta con certezza la paternità.

Dopo l’arresto del 1971 uscì dal carcere nel 1974 con la libertà condizionata. Nonostante il suo abuso e violenza su minore, gli fu data una pena lieve, perché i genitori di Tali Shapiro non permisero alla loro bimba di testimoniare e riaprire una ferita così orribile della propria vita. Ma nel 1974, appena fuori di galera, Rodney Alcala aggredì un’altra bambina, la 13enne Julie J., venendo arrestato nuovamente per tre anni e uscendo nel 1977 ancora una volta con libertà condizionata.

Gli omicidi

Nel 1977 avviene un altro omicidio che si ritiene compiuto da Alcala. Si trattava di Ellen Jane Hover, 23 anni e figlioccia di Dean Martin e Sammy Davis jr. I nomi delle vittime di Alcala accertate furono invece: Jill Barcomb, Georgia Wixted, Charlotte Lamb, Jill Parenteau, Robin Samsoe. L’assassinio di Samsoe fu decisivo per l’arresto e la condanna definitiva del serial killer: 12enne, la piccola Robin fu uccisa dopo aver frequentato la sua classe di danza nel 1979, ma il corpo fu trovato solo un anno dopo in avanzato stato di decomposizione sulle colline di Los Angeles.

Come riporta il New York Times, si ritiene che l’uomo abbia ucciso anche Christine Ruth Thornton, una 28enne incinta del Wyoming scomparsa nel 1978, i cui resti furono trovati 4 anni dopo. Per questo reato però Alcala non ha affrontato il processo perché troppo malato per essere estradato.

Il carcere e la morte

Rodney Alcala

Nel 2010, e in seguito con altre pene aggiuntive, Rodney Alcala fu condannato a morte per gli omicidi commessi. In particolare nel 2013 fu sottoposto a processo per un’altra accusa di omicidio, che gli costò una pena ridondante di altri 25 anni di prigione. Come riporta il New York Post, il giudice pianse di fronte agli orrori commessi dal serial killer. “Questo è il tipo di caso che non ho mai affrontato, e spero di non farlo mai più - disse all’epoca in lacrime il giudice della Corte Suprema di Manhattan Bonnie Wittner - Scusate. In 30 anni, non ho mai avuto un caso come questo”.

Alcala è morto così nel 2021 con grande sgomento degli inquirenti: speravano che il serial killer parlasse, che confessasse altri delitti, almeno prima di finire sulla destinata sedia elettrica. Ancora oggi sono pubbliche le foto di oltre centro tra ragazzini e ragazzine che si crede siano state vittime dell’uomo. Alcune sono state riconosciute come persone scomparse, ma è molto difficile che ora si scoprirà la verità sulla loro sorte.

Il pianeta è un posto migliore senza di lui, questo è certo - ha commentato al New York Times Tali Shapiro, sopravvissuta alla violenza che oggi

ha 61 anni - So che è terribile quello che mi è successo, ma non mi ci sono mai identificata. Sono andata avanti con la mia vita, quindi questo non mi riguarda molto. Ci vuole molto tempo, ma il karma esiste".

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