
Per una volta l'opposizione tace. E quando parla, persino Landini - non certo noto per slanci amorosi verso il governo -, ammette suo malgrado che la legge di bilancio "va nella direzione giusta". Non è un'illusione, né una tregua ideologica. È il riconoscimento, tardivo ma inevitabile, che questa è una manovra che sta in piedi. E che prova a far camminare l'Italia con scarpe buone, pur vestendosi con gli abiti stretti dei vincoli europei, della crescita debole e del debito pubblico monstre. Il governo Meloni, con il ministro Giancarlo Giorgetti in cabina di regia, ha confezionato un provvedimento che ha un merito raro nel panorama italiano: fa i conti. E li fa davvero. Eppure riesce a mettere al centro famiglie, imprese, lavoratori, sanità, natalità e perfino il nodo pensioni. Non con bonus a pioggia o mance elettorali, ma con misure mirate, anche strutturali. E con l'intelligenza politica di chi sa dove e come chiedere un contributo senza inciampare nella patrimoniale ideologica.
Prendiamo le banche, bersaglio facile dei moralisti da tastiera. Nessuna tassa punitiva, basta sciocchezze su profitti che non sono mai extra, ma semplicemente profitti: piuttosto, una finestra volontaria sull'affrancamento delle riserve. Un'operazione che genera gettito reale, senza creare allarme sui mercati. Chi ha di più può contribuire di più, predica Giorgetti da mesi. Semplice, civile, efficace. Altro che lotta di classe. E a chi parla di metodo Robin Hood, il ministro risponde con ironia: "Robin Hood era di Nottingham, a me quelli di Nottingham mi stanno sul c...". Tradotto: qui si fa politica economica, non folklore redistributivo.
Del resto, quando i numeri ci sono, non servono proclami. Il bilancio è in ordine (ieri il Fondo monetario ha parlato di "risultati fantastici" sul fronte del deficit), al tempo stesso arrivano segnali concreti: si potenzia la sanità pubblica, si premiano i lavoratori veri, si interviene con lucidità sulla previdenza. La sterilizzazione dell'aumento dell'età pensionabile è solo un primo passo: si punta a superare definitivamente la gabbia Fornero. Non per ideologia, ma perché non si può costruire il futuro lasciando i giovani fuori e costringendo al lavoro chi ha già dato tutto.
Il cuore della manovra pulsa nella parte sociale. Famiglia e natalità tornano centrali, con misure permanenti. Si aiuta chi deve crescere i figli, non con parole da convegno, ma con provvedimenti concreti. Non è retorica, è politica. Soprattutto, è visione. I segnali positivi arrivano anche sul fronte dei salari: si detassano i premi di produttività, si alleggeriscono i turni più gravosi, si finanzia il rinnovo dei contratti pubblici. Dopo anni in cui i dipendenti dello Stato sono stati trattati come zavorra, si torna a considerarli parte della soluzione.
Certo, non è una rivoluzione. Ma una direzione chiara finalmente c'è. E, stavolta, è difficile liquidare tutto con il solito "tanto non cambia niente". Persino la Cgil, pur con il solito ritornello sul drenaggio fiscale, non può negare che si va verso la detassazione del lavoro. Un tema su cui la sinistra ha speso parole per anni, senza mai ottenere nulla di concreto.
La vera novità è questa: per la prima volta dopo anni, un governo tiene insieme conti pubblici credibili e risposte sociali, varando una manovra non in deficit. Lo fa senza slogan, senza illusioni, senza giocare con l'invidia sociale. E senza piegarsi alla demagogia delle patrimoniali anti-ricchi, buone solo per far sentire virtuosi quelli che si sentono poveri.
C'è ancora molto da fare.
Ma almeno, per una volta, lo Stato non si limita a chiedere sacrifici all'universo mondo. Chiede un contributo maggiore a chi davvero può permetterselo. È già qualcosa. Anzi, è molto di più di quanto l'Italia abbia visto negli ultimi vent'anni.