Coronavirus

Non chiamateli aiuti. Sono soltanto tasse

Il dibattito sul coronavirus si sta spostando rapidamente dall'emergenza sanitaria all'emergenza economica e arriverà rapidamente all'emergenza sociale che ne conseguirà.

Non chiamateli aiuti. Sono soltanto tasse

Il dibattito sul coronavirus si sta spostando rapidamente dall'emergenza sanitaria all'emergenza economica e arriverà rapidamente all'emergenza sociale che ne conseguirà.

Presto, infatti, ci troveremo di fronte a una emergenza economica drammatica. Le stime del governo di pil a meno 8 per cento e disoccupazione a 11,6 appena presentate sono molto ottimistiche per non dire quasi irreali. Il pil scenderà del 10%/12% (come dicono analisti liberi) e la disoccupazione salirà molto oltre il 15% non appena precari, tempi determinati, autonomi senza lavoro e cassa integrazione continua verranno contati. Il debito pubblico nel 2021 e 2022 arriverà vicino al 170%. Soprattutto le entrate fiscali crolleranno per effetto di minori contributi, redditi più bassi e consumi in caduta libera. Il 6 per cento dei contribuenti oltre 50.000 euro di reddito paga il 40 per cento delle tasse in Italia. Questi redditi saranno falcidiati dalla crisi, così come i relativi consumi, così come gli utili aziendali, così come i contributi sociali versati dalle aziende sul lavoro dipendente. E appariranno in modo finalmente evidente due concetti che negli scorsi anni sono stati accuratamente nascosti all'opinione pubblica e ai cittadini.

Il primo concetto riguarda la nozione che lo Stato è sostenuto dai privati, in particolare dal lavoro e dalle aziende private. Senza il lavoro, le aziende private, i lavoratori autonomi che in gran parte gravitano intorno al reddito generato dai privati, lo Stato non ha capacità di esistere. Semplificando e arrotondando: i privati versano circa 600 miliardi l'anno nelle casse dello Stato. Di questi 600 miliardi circa 300 vanno in pensioni e welfare (al netto delle trattenute fiscali sulle pensioni stesse), 120 nella sanità, 60 nell'istruzione, 50 nell'ordine pubblico, 50 negli interessi sul debito pubblico. Senza i privati - la loro organizzazione, il lavoro e i contributi versati - nulla di tutto questo esisterà più come lo conosciamo.

Lo Stato oggi si atteggia a dispensatore di aiuti, ma questi aiuti altro non sono che le tasse dei privati passate o future, il debito pubblico è solo una anticipazione di tasse future pagate dai privati e ogni aumento di debito (questa crisi ci costerà oltre 400 miliardi) altro non è che future tasse per i nostri figli, peraltro pochissimi per la bomba demografica su cui siamo seduti. Lo Stato è come un amministratore di condominio che va in assemblea e dice ai proprietari degli appartamenti: «Vorrei che foste tutti molto riconoscenti a me amministratore perché, grazie al mio aiuto illuminato, vi ho consentito di avere il riscaldamento. Dovete essere riconoscenti e obbedienti». Non è vero, e apparirà molto chiaramente tra poco. Gli aiuti dello Stato sono le tasse dei privati, lo Stato le ridistribuisce e lo fa spesso in modo molto inefficiente.

Il secondo concetto che apparirà evidente nella crisi è appunto il costo è l'inefficienza dell'azione ridistributiva dello Stato. La pioggia di aiuti su capitoli singoli che riflettono il desiderio di visibilità di un ministro o di un partito non sarà sostenibile. Trovo da sempre surreale che un ministro (Difesa o Istruzione o qualsiasi altro) faccia interviste gloriandosi di avere ottenuto risorse per il proprio ministero o la propria base di riferimento sociale. Sempre nell'analogia condominiale è come se avessimo dieci aiutanti amministratori che si presentano all'assemblea gloriandosi di avere speso soldi (sempre i nostri soldi..) per rifare facciata, impianto di riscaldamento e così via. Li cacceremmo immediatamente con ignominia perché le spese condominiali le paghiamo noi, non loro. Eppure questa ignobile messa in scena va in onda da 30 anni.

Questa crisi spazzerà via questo modo di pensare e di atteggiarsi tipico del partito tax and spend, della cultura catto-comunista degli anni '80. Semplicemente non ce lo potremo più permettere con il debito al 170% del pil. L'azione ridistributiva dello Stato dovrà focalizzarsi sul recupero dell'evasione fiscale e contributiva, sull'efficientamento della spesa, sulla rimodulazione del welfare sostenibile, soprattutto sulla difesa della base imponibile. Avremo bisogno di amministratori bravi, non di cialtroni che prendono merito di avere speso i nostri soldi. Altrimenti il condominio fallisce (default o uscita dall'euro, che sono eventi simili) e se questo succederà le pensioni, la sanità e i risparmi degli italiani verranno spazzati via con gravissimo pregiudizio delle classi più deboli in nome delle quali sono stati fatti i peggiori scempi degli ultimi 30 anni (dal reddito di cittadinanza a quota 100 per citare i più recenti).

La terza emergenza è quella valoriale. La crisi della globalizzazione e del capitalismo «predatorio» era già evidente prima del coronavirus, così come la tendenza a un sovranismo o alla ridicola «decrescita felice» senza senso come fuga dalla realtà. Ricordiamo la storia, l'autarchia e l'oro del Duce, molto simile ai minibot e al «facciamo da soli» di questi tempi, oppure alla decrescita molto infelice di Cuba negli anni di Castro a cui spero nessuno aspiri.

Il mondo del 2020 è interconnesso, l'Europa è una necessità assoluta e un'ancora di salvataggio essenziale.

Si scontreranno probabilmente due visioni alternative in modo molto duro e forse per una volta senza la possibilità del compromesso, che è la base della politica. Da una parte la visione di uno Stato centralista, assistenziale, autoritario, con maggiore vocazione fiscale e tendenzialmente illiberale. Dall'altra uno Stato liberale, finalizzato a favorire l'impresa e l'iniziativa dei singoli, focalizzato su una regolazione efficace ma non pervasiva. In Italia questo dualismo sarà esacerbato nelle due visioni Nord-Sud, nel pubblico impiego rispetto al lavoro privato, nei «benestanti» (che saranno quelli che lavorano) rispetto agli «assistiti».

Purtroppo le tensioni tra le due visioni saranno molto elevate e ci potrà essere uno scontro sociale che da tempo non pensavamo possibile. La mia opinione su questo scontro è evidente, ma penso anche che la parte dei «buoni», quelli che lavorano, pagano le tasse correttamente e anche orgogliosamente, che fanno impresa insieme ai loro lavoratori e non contro, e sono genuinamente convinti che le fasce deboli debbano essere protette proprio dalla ricchezza generata da chi la produce, debba proporre esplicitamente un nuovo sistema valoriale.

Questo sistema valoriale deve prevedere anche un sistema fiscale che sposti imposizione dal lavoro alla rendita improduttiva (non l'impresa quindi), la richiesta pressante di efficienza nella pubblica amministrazione, un supporto individuale al terzo settore, l'incentivazione di investimenti di sviluppo sostenibili (il turismo in Italia in primis), la soppressione di indecorose e populiste azioni di insensata distruzione di ricchezza (Alitalia, per capirci), la creazione di una classe dirigente competente e onesta, lo sviluppo di un sistema educativo che consenta in modo esplicito l'ascensore sociale dei più meritevoli, non dei più ricchi.

Nello stesso tempo deve riconoscere che la generazione di ricchezza è un grandissimo merito e va celebrata, promossa e rispettata, non additata come ingiusta e da punire, proprio perché consente il sostegno a tutto quanto sopra, non l'opposto.

Che queste eccellenze siano mobilitate immediatamente! È necessario creare un consenso politico affinché queste competenze vengano raccolte e chiamate alla ricostruzione del Paese, della sua cultura, della sua capacità, del suo orgoglio.

Non sono ahimè le competenze (basta leggere i curriculum vitae in proposito e le realizzazioni pregresse...) che oggi ci governano, come apparirà palese tra pochissimo tempo, ma questa crisi può essere l'occasione per mobilitare le nostre eccellenze rapidamente. Oppure ci dovremo rassegnare a una società senza tutele per i più deboli, con mille conflitti e un livello di benessere collettivo che ci farà tornare a 50 forse 100 anni fa.

Dipende solo da noi.

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