Il problema è banalmente economico. Nessuno ha i soldi per tirare fuori quegli ottocento cadaveri dal relitto affondato tra Malta e Lampedusa ad aprile. Carico di migranti, lo scafo di 22 metri è andato a fondo con quanti erano a bordo e ora è schiantato su un fondale sovrastato da quasi 400 metri d'acqua.
Le telecamere della Marina militare lo hanno trovato e filmato, raggiungendolo con i mini sommergibili. Ma la procura di Catania, che ha aperto il fascicolo sui fatti, una delle tragedie in mare peggiori degli ultimi anni, ha già messo in chiaro che i corpi che sono andati a fondo con l'imbarcazione rimarranno dove sono.
"Il recupero non è utile alle indagini", ha detto il procuratore Giovanni Salvi, citato da Repubblica. Ha messo in manette un tunisino e un siriano, coordinatori del viaggio dalle coste africane. E la sua posizione è chiara. Da un punto di vista legale, che i corpi vengono ripescati dal mare non cambia nulla. "Se poi lo vuole fare il governo per ragioni umanitarie va bene", ma a Catania non possono affrontare "costi e ritardi". Oltre al fatto che "non dipende dall'autorità giudiziaria" mettersi in moto.
Sono di tutt'altro avviso i gruppi che si occupano delle questioni legate ai migranti. Christopher Hein, portavoce del Cir (Centro internazionale rifugiati), non lesina critiche per un'idea "allucinante" e che "indigna" e chiede che i corpi vengano recuperati per "un atto dovuto, per consentire ai familiari di riconoscerli e di costituirsi parte civile nel processo contro i presunti responsabili".
Intanto, scrive Repubblica, al Centro ascolto della Croce rossa
italiana il telefono continua a squillare. Le chiamate arrivano da tutto il Centrafrica. Sono i parenti di chi è partito, che non sanno se i loro cari siano in Italia, trattenuti in Libia, o intrappolati in uno scafo affondato.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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