Cronache

Open arms, tensione al processo di Salvini: ecco cosa è successo

Momenti di tensione in aula tra il Pm e l'avvocato difensore di Matteo Salvini, seduta sospesa per alcuni minuti. L'accusa punta a dimostrare le responsabilità del leader della Lega

Open arms, tensione al processo di Salvini: ecco cosa è successo

È ripreso oggi il processo Open Arms che vede come imputato il leader della Lega Matteo Salvini. A Palermo, sede del procedimento, è presente lo stesso senatore assieme all'avvocato Giulia Bongiorno e, all'interno dell'aula bunker dove si sta svolgendo il dibattimento, non sono mancati momenti di tensione.

Poco dopo mezzogiorno, mentre era in corso la deposizione di Fabrizio Mancini, direttore del Servizio Immigrazione del ministero dell'Interno, il pm Gery Ferrara ha contestato al teste le dichiarazioni precedentemente rese davanti al tribunale dei ministri. È intervenuta la stessa Giulia Bongiorno, la quale ha accusato il pubblico ministero di aver usato “toni aggressivi”.

Si è creato così un clima di tensione che ha costretto il presidente del tribunale del capoluogo siciliano, Roberto Murgia, a sospendere la seduta per almeno dieci minuti. Un episodio che ben testimonia come il processo Open Arms, rimasto un po' nel dimenticatoio dopo il clamore delle precedenti udienze, sia molto sentito dalle parti in causa.

Il perché della sospensione

Tutto è nato dalla dichiarazione resa da Fabrizio Mancini secondo cui non solo Open Arms ma, in generale, tutte le altre Ong spesso "operavano fuori dalla regole". A quel punto il Pm Ferrara ha accusato Mancini di "fare comizio a favore di Salvini". Da qui poi la reazione anche di Giulia Bongiorno, la quale a sua volta ha puntato il dito contro Ferrara accusandolo di usare toni aggressivi.

La testimonianza di Mancini era tra le più attese. In particolare, il teste ha dichiarato tra le altre cose di "non sapere se era Salvini a dare indicazioni di sbarco", in quanto era il gabinetto del Viminale a decidere il Pos. Inoltre, ed è da qui che poi si è innescato anche il dibattito che ha portato al botta e risposta tra accusa e difesa, Mancini ha fatto presente che non solo nel caso Open Arms ma anche in altri "si aspettavano dei giorni prima della richiesta del Pos", un'attesa di qualche giorno "per la redistribuzione europea".

"Rientra tra i compiti del ministro dell'Interno preoccuparsi dell'ordine e della sicurezza pubblica del suo Paese - ha poi proseguito Mancini, chiamato in aula dall'accusa - In quel periodo c'era l'Isis e la preoccupazione che all'interno della massa di persone che arrivavano potessero esserci male intenzionati non era strana, credo fosse una preoccupazione legittima. C'erano delle azioni poste in essere da alcune delle ong che procedevano fuori dalle regole e potevano indurre il ministro a ritenere che ci potessero essere situazioni da tenere sotto controllo".

Cosa vuol dire il processo per il mondo delle Ong

È bene ricordare che il procedimento parte da quello che forse è stato l'ultimo atto di Matteo Salvini come ministro dell'Interno. Nell'agosto del 2019, agli sgoccioli del governo gialloverde formato da Lega e M5S, l'allora titolare del Viminale ha negato lo sbarco alla nave dell'Ong spagnola Open Arms, stanziata non lontana da Lampedusa con 147 migranti a bordo.

Una mossa che, secondo la ricostruzione dei legali di Salvini, è di ordine politico e avrebbe seguito la linea politica del governo in quel momento in carica. Per le Ong invece, il leader della Lega con il suo comportamento avrebbe arrecato danni ai migranti e avrebbe messo in pericolo la loro vita. Nell'agosto del 2019 la situazione si è poi sbloccata con l'intervento dell'allora procuratore di Agrigento Luigi Patronaggio, salito a bordo di Open Arms il 20 agosto. Un intervento che ha portato al sequestro del mezzo e allo sbarco dei migranti. Poco dopo è stato lo stesso magistrato ad aprire un fascicolo nei confronti di Salvini, trasmesso poi per competenza al tribunale dei ministri di Palermo.

Il processo per le Ong ha quindi tutta l'aria di una vera e propria “resa dei conti” politica con il leader della Lega. L'area vicina alle organizzazioni non governative che tra le estati del 2018 e del 2019 hanno più volte sfidato la linea di Salvini, sperano di portare in aula il braccio di ferro sorto allora.

Lo si intuisce dalla mobilitazione non solo di Open Arms ma anche di altre associazioni, costituitesi parte civile. Dal canto suo la procura di Palermo ha più volte espresso la propria posizione in linea con quanto visto già nelle fasi preliminari del processo. E cioè che, secondo i magistrati siciliani, Matteo Salvini ha illegittimamente bloccato lo sbarco di migranti, mettendone in pericolo l'incolumità.

La testimonianza di Katia Di Natale

Un impianto accusatorio che si regge quindi sulle responsabilità attribuite all'ex ministro dell'Interno. Oggi a testimoniare è stata anche la dottoressa Katia Di Natale, all'epoca dei fatti specializzanda in medicina. Il 15 agosto è salita a bordo di Open Arms e in aula ha parlato di situazioni difficili riscontrate. “I migranti soccorsi dalla Open Arms erano tutti sul ponte, non era possibile fare visite individuali – si legge nelle sue dichiarazioni – Il medico di bordo ci mostrò i dati che aveva raccolto e ci disse quali erano i pazienti più gravi. Abbiamo valutato solo alcuni casi: lesioni cutanee, parassitosi, infezioni. Il resto non abbiamo potuto valutarlo. Ricordo che c'erano dei segni di scabbia, una donna aveva ustioni pregresse, poi alcuni avevano delle ferite da arma da fuoco. Non abbiamo accertato casi di crisi depressive, siamo rimasti troppo poco a bordo. L’equipaggio era molto stanco, ma resisteva”.

Inoltre Katia Di Natale ha parlato della presenza di due bagni chimici e del fatto che i migranti usavano il ponte anche per espletare le proprie funzioni fisiologiche.

Erano inoltre presenti, al 15 agosto 2019, anche 31 minori.

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