C'è un sentimento che pervade il discorso con cui Silvio Berlusconi è tornato sulla scena politica dopo il calvario di una malattia che lo ha tenuto per settimane (e ancora ora) in ospedale: la passione civile. È il sentimento che ispira i leader, gli statisti e li distingue dai mestieranti della politica. È la ragione per cui un personaggio che ha raggiunto tutti i traguardi nella sua vita continua con tenacia ad occuparsi della cosa pubblica senza concedersi un meritato riposo. Ed è anche la risposta alla domanda che probabilmente gli hanno rivolto in questi giorni famigliari e amici: «Ma chi te lo fa fare?». Come pure è quel filo di coerenza che lega tutta la sua esperienza politica dal '94 ad oggi e che è racchiusa nella frase con cui annunciò la sua discesa in campo: «l'Italia è il Paese che amo».
Appunto, non si smette di amare il proprio Paese, di servirlo. Magari c'è chi può liquidare simili parole considerandole pura retorica. Sarà. Ma in fondo al di là del credo politico, degli ideali a cui si sono ispirati, del momento che hanno vissuto, gli uomini che hanno fatto la Storia di questo Paese, i leader e gli statisti, sono stati mossi dallo stesso desiderio, dallo stesso imperativo. E sarà un paradosso ma più declina la classe dirigente e più consideriamo figure di questo tipo distanti. Molti anche in politica non ne capiscono lo spirito di sacrificio e la tenacia.
Ecco perché il Cavaliere che vuole a tutti i costi esserci, può apparire a molti un marziano. Ma non potrebbe essere altrimenti: se non fosse così nel profondo non sarebbe la figura di riferimento della cosiddetta Seconda Repubblica per tutti, anche per gli avversari. Ieri Berlusconi ha spiegato i motivi della sua discesa in campo trent'anni fa: evitare che una sinistra, quella che proveniva dall'esperienza comunista, sconfitta dalla Storia, si impadronisse del Paese senza che ci fosse un'alternativa. Per quell'atto di coraggio - perché di questo si è trattato - il Cav è stato perseguitato per trent'anni. Hanno provato a liquidarlo in tutti i modi: lo hanno condannato ingiustamente per un reato fiscale per espellerlo dall'agone politico, hanno tentato di sporcarne l'immagine con il «caso Ruby» e, ancora oggi, c'è chi prova, sfidando il ridicolo, di accostarlo a Cosa nostra. Tutto ciò gli è piovuto addosso per quella scelta. Ma lui è andato avanti lo stesso, non si è tirato indietro, non si è arreso. È ancora là. Ha superato l'insuperabile.
Se non si comprende lo spirito che lo ha animato per un trentennio, non si possono capire le immagini di ieri, a volte commoventi. Un esempio per una classe dirigente che spesso preferisce il quieto vivere al coraggio.
E anche quel video registrato nella stanza di un ospedale in giacca e camicia, è frutto dell'irrefrenabile voglia di esserci, di non lesinare il proprio apporto né oggi, né domani. Gli statisti non vanno mai in pensione, né si mettono a riposo, continueranno a servire sempre e comunque, nei modi possibili, il Paese.
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