Coronavirus

Perché il 4 maggio non sarà una festa

orse non è ancora chiaro. Il 4 maggio probabile giorno del fine quarantena generale - non sarà una festa.

Perché il 4 maggio non sarà una festa

Forse non è ancora chiaro. Il 4 maggio probabile giorno del fine quarantena generale - non sarà una festa. Chi pensa che si «tornerà alla normalità» solo perché potremo uscire di casa quando vogliamo o fare una corsetta al parco si sbaglia di grosso. Meglio che niente, ma la «normalità» sarà per pochi, comunque per un numero insufficiente a festeggiare. Molte persone, purtroppo, scopriranno - o meglio prenderanno coscienza - di avere perso il posto di lavoro, altri finiranno direttamente in cassa integrazione, molti commercianti e imprenditori nei servizi (parrucchieri, estetisti, albergatori, baristi e ristoratori) prenderanno atto che con le nuove regole e i loro cavilli burocratici il fatturato crollerà sotto la soglia minima per stare in piedi. E su tutti arriverà implacabile la mannaia dello Stato: tasse, bollette, contributi e il resto che ben conosciamo. E poi le banche che premeranno, e poi i controllori che staranno col fiato sul collo, e poi il virus che si è assopito ma non è morto e che da un momento all'altro potrebbe tornare a colpire.

Un conto è essere ottimisti, altro è fingere che per tutti «andrà tutto bene». Non è così.

Spero di essere smentito ma nelle condizioni politiche ed economiche attuali lo choc della riapertura sarà più duro di quanto non sia stato quello della chiusura, che almeno all'inizio è stato addolcito dall'adrenalina della novità, dai canti sui balconi e dalla retorica della resistenza al nemico.

Il governo si prepari. Dal 4 maggio per milioni di italiani il nemico non sarà più il virus ma lui, cioè lo Stato. Milioni di disoccupati, alcuni dei quali pure affamati, Conte non potrà consolarli a parole, distrarli con un post, blandirli con promesse come fatto fino a ora. Il castello di carte tirato su in questi tre mesi di emergenza crollerà e allora saranno guai, altro che le inutili polemiche sugli spostamenti Nord-Sud, altro che le ciniche inchieste giudiziarie sulle case di riposo. La rivolta di ieri dei sindaci delle principali città italiane contro il governo è un segnale chiaro di totale sfiducia nell'esecutivo: non c'è guida, manca una strategia, siamo nel caos più totale e così non se ne esce.

E speriamo solo che la rivolta dei sindaci non sia l'antipasto di quella dei cittadini, abbandonati a loro destino.

Commenti