Poliziotti e centri sociali pari non sono

Poliziotti e centri sociali pari non sono

Tra lo Stato e l'antistato, sempre con lo Stato. Tra i poliziotti che difendono la legge e i violenti che la violano, tutta la vita con i poliziotti. E quindi, per quanto così spesso ricordato: dieci, cento, mille... Anzi centomila Pierpaolo Pasolini, invece che questa sinistra becera perché accecata e resa sempre più violenta dal proprio fallimento. Politico e di idee. Perché va bene la società liquida, la morte di Dio e il tramonto dei valori, ma qualche punto di riferimento ci dovrà pur essere. Per i nostri figli che ne hanno sempre più bisogno, prima che per noi. E così tra i delinquenti che mettono a ferro e fuoco Genova per impedire a CasaPound di manifestare le proprie idee e i poliziotti che difendono la Costituzione, qualche differenza ci dovrà pur essere. Tra l'antistato dei centri sociali e lo Stato delle divise che difende chi è assaltato, non c'è dubbio su chi stia dalla parte della ragione. E così, mai come dopo gli scontri di giovedì dove tremila violenti hanno attaccato i 30 (sì, esattamente trenta) del comizio di CasaPound regolarmente autorizzato dal prefetto, viene da ricordare il sommo friulano che commentava Valle Giulia. «Siete paurosi, incerti, disperati (benissimo), ma sapete anche come essere prepotenti, ricattatori e sicuri: prerogative piccolo-borghesi, amici». Si perché solo dei piccolo-borghesi, violenti e sfaccendati, dediti alle canne più che ai libri e senza il problema di dover lavorare erano la maggior parte di quelli che ancora una volta volevano sostituirsi alla legge per decidere chi può parlare e chi no. E così la conclusione di Pasolini era ed è rimasta inevitabile. «Quando ieri a Valle Giulia avete fatto a botte coi poliziotti, io simpatizzavo coi poliziotti!». Peccato che così non abbiano fatto ieri i giornali che hanno messo in mostra una disgustosa rassegna stampa, nella quale sembrava che ad affrontarsi ci fossero due opposte fazioni a cui assegnare pari dignità. Come se i poliziotti quel pomeriggio non avessero trovato di meglio da fare che andare fino a Genova a distribuire qualche manganellata. E non che fossero lì a spaccarsi la schiena e qualcuno anche la faccia per fare rispettare la legge. E, per un migliaio di euro al mese, bloccare il solito manipolo di provocatori di professione che, sicuri dell'impunità nei tribunali e sui media, li affrontano quotidianamente con sempre maggiore arroganza. Sputi, insulti, biglie lanciate con le fionde (roba che può ammazzare). E poi sprangate ai poliziotti, tutte ovviamente «democratiche» perché menate in nome dell'antifascismo e delle barricate da erigere di fronte alla politica anti migranti di quel mostro del ministro Salvini. Il tutto con quella bella corolla di sinistra che si aggrega al corteo, non avendo altro di meglio da fare e da dire: i partigiani postumi dell'Anpi, i rottami dei sindacati, la Cgil, l'Arci, Libera Genova e compagnia sfilante. Illegalità perpetrate brandendo come una mazza l'antifascismo sancito nella Costituzione e le città medaglia d'oro della resistenza, fingendo di non capire che il reato per i padri costituenti non è pensare il fascismo (ché altrimenti dovremmo mandare gli storici in galera e abbattere la stazione di Milano), ma organizzarne la ricostituzione.

E in trenta, in un pomeriggio a Genova, sembra davvero impresa piuttosto improbabile. Per cui forse è scappata una manganellata di troppo, ma di certo c'erano tremila persone (violente) al posto sbagliato. Non se ne giustifichino il questore e i poliziotti, a loro va il nostro grazie. Ancora una volta.

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