Coronavirus

Qualcuno parli di cose serie

Più passano i giorni più è chiaro il problema che abbiamo. Di fronte alla più grande crisi economica, e presto sociale, dal dopoguerra la discussione è a che ora gli studenti dovranno entrare a scuola a settembre

Qualcuno parli di cose serie

Più passano i giorni più è chiaro il problema che abbiamo. Di fronte alla più grande crisi economica, e presto sociale, dal dopoguerra la discussione è a che ora gli studenti dovranno entrare a scuola a settembre e la cosa assurda è che anche su questo dettaglio non c'è accordo. La retorica di «ai miei tempi» è insopportabile però è un fatto che «ai miei tempi» le cose andarono diversamente. Parliamo della fine degli anni Cinquanta e l'Italia non era molto meglio messa di quanto non lo sia oggi. Eravamo reduci dall'aver accettato con dignità e lungimiranza i finanziamenti americani del piano Marshall (che non erano senza condizionamenti geopolitici) mentre oggi stiamo per rifiutare stupidamente i soldi dell'Unione europea perché «noi non accettiamo condizioni».

E vabbè, siamo diventati grandi. Però ai miei tempi qualcuno immaginò la costruzione dell'Autostrada del Sole e la completò a tempo di record, mentre oggi il Parlamento si occupa di bonus monopattini, nelle autostrade cadenti ci mettono i semafori e il sindaco di Milano si occupa di piste ciclabili.

E vabbè, oggi di autostrade ne abbiamo forse a sufficienza. Però ai miei tempi, per rilanciare il Paese, il governo varò il «piano Fanfani», un mega investimento per dare case popolari di grande qualità a milioni di Italiani, oggi gli unici investimenti sono quelli a fondo perduto del reddito di cittadinanza.

E vabbè, anche per questo oggi di case non ne servono più di tante. Però ai miei tempi chi governava si preoccupò, attraverso l'Iri, di sostenere e sviluppare la grande industria siderurgica e metalmeccanica senza le quali un Paese non può crescere, oggi abbiamo al governo un partito convinto che a Taranto l'Ilva può essere riconvertita in una fabbrica di cozze (non è una battuta ma l'amara verità).

E vabbè, il mondo è cambiato, oggi serve innovazione. Però ai miei tempi chi provava a innovare il Paese - ce ne sono stati tanti in ogni campo - era stimato e riverito, oggi è guardato con invidia e sospetto perché la sua ricchezza non può che essere frutto di qualche magheggio fiscale che va perseguito a vita ed eventuali «innocenti», secondo la teoria Davigo, sono solo dei «colpevoli che l'hanno fatta franca».

Ora, la differenza tra «i miei tempi» ed «oggi» è che i grillini non esistevano e la sinistra stava all'opposizione senza di fatto toccare palla, il Paese era in mano - semplifichiamo - a cattolici liberali e liberal-democratici ben ancorati alle tradizioni occidentali. E che per questo non si parlava di monopattini e distanze tra i banchi di scuola, ma di cose serie e concrete per fare crescere il Paese.

Bei tempi.

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