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Quando latita la terzietà

Ieri Mario Draghi ha usato parole sul nostro sistema giudiziario che lasciano il segno: "Gli stessi magistrati - ha detto - hanno bisogno di una riforma che rafforzi la loro credibilità e terzietà".

Quando latita la terzietà

Ieri Mario Draghi ha usato parole sul nostro sistema giudiziario che lasciano il segno: «Gli stessi magistrati - ha detto - hanno bisogno di una riforma che rafforzi la loro credibilità e terzietà». Ora l'importante non è tanto che il Premier abbia usato giudizi così lapidari per appoggiare la riforma Cartabia mentre altri, invece, sono convinti che siano necessari i referendum per cambiare davvero; semmai colpisce il quadro che Draghi, cioè un personaggio che non è mai stato lambito da inchieste giudiziarie e non si è mai occupato di questi argomenti, dipinge della nostra condizione attuale: dire che le toghe hanno bisogno di «credibilità» e «terzietà» vuole dire che latitano i due elementi fondamentali su cui dovrebbe basarsi l'amministrazione della giustizia. Un magistrato poco credibile e parziale, infatti, dovrebbe cambiare mestiere per non nuocere al cittadino.

La verità è che siamo davvero all'anno zero della giustizia. Quando da un sondaggio Eurispes emerge che due italiani su tre non si fidano del nostro sistema giudiziario, oppure che il 59% è convinto che l'azione dei magistrati sia condizionata dall'appartenenza politica, significa davvero che abbiamo toccato il fondo: nessuno confida più che ci sia un giudice a Berlino; in molti, troppi, si sono persuasi che non devi difenderti nel processo, ma dal processo perché rischi di non poter contare su un magistrato imparziale. Eppure l'interesse dei «media» sulla giustizia che Draghi descrive a tinte fosche è scarso. Addirittura sui referendum si può ipotizzare una congiura del silenzio, pochi ne parlano, gli spazi su giornali, tv e radio sono ridotti al minimo, al punto da contravvenire ai doveri di una campagna referendaria nel Paese che si inventò la «par condicio».

Roba da non credere. E forse la ragione di questo disinteresse risiede nella sensazione che stia venendo meno la speranza: di giustizia si è parlato molto in questi anni, ma per migliorarla si è combinato ben poco. Anche la riforma Cartabia, il Premier non me ne voglia, è un palliativo. Un dato amaro e rischioso perché se una società perde la fiducia nella giustizia salta uno dei capisaldi del vivere civile. Ragion per cui c'è bisogno di una reazione per risollevarsi da questa apatia. E lo strumento, appunto, possono essere solo i referendum, la cui importanza va ben oltre i quesiti perché serve a catalizzare di nuovo l'attenzione su una questione tra le più importanti.

Ecco, basterebbe un voto per chiudere una parentesi buia della Storia del Paese, nella consapevolezza che dell'ingiustizia ti accorgi solo quando ti tocca, ma a quel punto è troppo tardi per cambiare le cose.

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