Quante bugie sul corpo del Duce

Gli anni fra la marcia su Roma e il 1932, importantissimi dal punto di vista storiografico, da quello narrativo sono i meno appassionanti in una biografia di Mussolini

Quante bugie sul corpo del Duce

Gli anni fra la marcia su Roma e il 1932, importantissimi dal punto di vista storiografico, da quello narrativo sono i meno appassionanti in una biografia di Mussolini. Ci sarebbe da raccontare soprattutto l'assestamento al potere, la nascita della dittatura e dello Stato fascista, le nuove leggi e la trasformazione della società. Insomma, dev'essere stato un problema per Antonio Scurati trovare una chiave narrativa non uggiosa per il secondo volume del suo M (L'uomo della provvidenza, Bompiani, pagg. 648, euro 23). L'ha risolto rendendo protagonista del libro non tanto il duce, quanto il suo corpo.

Fin dall'incipit, per esempio, il delitto Matteotti non è visto analizzando cause e conseguenze, bensì raccontando con perizia clinico-romanzesca l'ulcera che gli avrebbe provocato e il peso del dolore fisico nei suoi comportamenti e nelle sue decisioni. «Io sono il mulo nazionale, io, il bue nazionale. E allora io non posso morire», spiega il duce nelle prime pagine. Di conseguenza Mussolini ha un corpo pubblico, che «esulta» sempre, e uno privato, che esulta di tanto in tanto, specialmente quando «tutti i muscoli del corpo sono pronti per l'accoppiamento» (è il verso di una canzone di Franco Battiato, lo so, Scurati si diverte a citarlo senza virgolette). Si tratta di una chiave di lettura interessante nell'analisi psicologica di un personaggio semivero, ma che poco aggiunge e qualcosa toglie alla comprensione di un periodo storico e del suo protagonista. Niente di male, per carità, se lo si tiene presente e si aggiunge che il tutto è pure filtrato attraverso la fantasia e l'estro di uno scrittore.

Raccontare attraverso il corpo significa anche - altro esempio sviluppare il rapporto complesso con Margherita Sarfatti (musa politica, educatrice di buone maniere, influenza culturale) attraverso le pieghe dei rapporti sessuali, delle gelosie, dell'abbandono. Significa, soprattutto, usare come fonte più evidente le memorie dell'autista Ercole Boratto e moltissimo quelle del cameriere-usciere Quinto Navarra. I due, infatti, non hanno alcun ruolo politico, sono addetti esclusivamente al corpo dell'uomo Benito, e attraverso di loro è come vedere la storia dal buco della serratura, oltre a rispettare l'antico motto «Nessun uomo è grande, per il suo cameriere».

È un gioco da storici intravedere, chiarissima, la bibliografia usata e non citata. Uno per tutti è, non sarebbe possibile altrimenti, il magnifico Il corpo del duce, di Sergio Luzzatto. Un altro gioco è scoprire forzature e invenzioni. La fantasia e l'estro di Scurati dichiarano, in una nota iniziale, che «in un numero molto limitato di casi l'autore, governato dalle esigenze del racconto, si è concesso l'arbitrio di minimi sfasamenti temporali». Non ci dice quali, eccone uno: Scurati fa mietere il grano a Mussolini, a torso nudo, nel 1931, mentre l'episodio risale al 1935, però anticiparlo gli fa comodo per spiegare il rapporto di Mussolini con il proprio corpo, e l'effetto che fa sul popolo: «Si tratta di un corpo inaudito. Che sia muscoloso, vigoroso, possente poco importa. Quel che conta è che mai prima di questo momento, nell'era moderna un capo di Stato si sia mostrato nudo in mezzo al suo popolo». Narrativamente è utile, storiograficamente è deviante, perché fra il Mussolini in abiti civili e quello a petto nudo c'è il passaggio fondamentale del Mussolini che si militarizza, in divisa (la caccia all'errore non è una mia passione, ma la definizione di Mussolini «capo di Stato» viene ripetuta più volte: il duce non lo era, essendoci un re, e anzi gli dispiaceva tanto che nelle occasioni ufficiali come la visita di Hitler dovesse cedere al re il posto accanto all'ospite).

Ancora più devianti, storiograficamente, sono le decine e decine di pagine dedicate alle efferatezze e alle stragi di Rodolfo Graziani in Libia. Tutto vero, tutto preciso, ma quell'orrenda pagina della storia, gravissima, fu irrilevante in Italia, mentre vengono dedicate pochissime righe alla Carta del lavoro, alla Conciliazione e alla «rivoluzione corporativa», meno suggestive da raccontare ma enormemente più influenti nelle vicende del periodo: far west fascismo, insomma. Far west personaggi, anche, come quando Scurati fa intendere al lettore, senza dichiararlo, che il giovane Galeazzo Ciano in Cina partecipava a disgustose perversioni sessuali che non gli appartenevano. Con lo stesso criterio, c'è molto Farinacci e niente Bottai, e con la stessa filosofia l'autore dedica puntigliosa attenzione ai cinque attentati, male organizzati e falliti, che Mussolini subì in quegli anni. Scurati ne fa una piccola enciclopedia di bella lettura, mentre al povero Antonio Gramsci, al suo pensiero, al suo arresto e alla sua condanna al carcere vengono dedicate poche righe.

Così va, quando più che alla storia si bada alle esigenze narrative. Tutto ciò detto, è un bel libro? Sì, lo si legge con piacere, Scurati è uno scrittore bravo, anche se personalmente avrei preferito che rinunciasse all'ambizione Buddenbrook tagliando due o trecento pagine.

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