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Il Ramadan batte il Venerdì santo. Noi colonizzati e "coranizzati"

I nostri immigrati, già quando si trasferivano (senza) armi e (pochi) bagagli a fine Ottocento e nei primi decenni del secolo scorso nelle Americhe o in Australia, e nel secondo dopoguerra in Svizzera, Germania e Francia, cercavano di amalgamarsi con i costumi dei locali

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I nostri immigrati, già quando si trasferivano (senza) armi e (pochi) bagagli a fine Ottocento e nei primi decenni del secolo scorso nelle Americhe o in Australia, e nel secondo dopoguerra in Svizzera, Germania e Francia, cercavano di amalgamarsi con i costumi dei locali. Erano rigorosamente male accolti causa pregiudizi benché fossero indispensabili allo sviluppo delle società che li esigevano. I nostri padri conservavano certo le proprie tradizioni e il dialetto, ma solo in famiglia, e cercavano di costituirsi in piccole comunità di friulani o lucani eccetera per sostenersi, mai pretendendo però di fare dei propri usi (...)

(...) e dei propri riti, specie religiosi, regole per i residenti. Erano fiori nuovi armonizzati, anche con dolore e sacrificio, con le tinte del giardino altrui. È così che milioni di italiani sono diventati presenze espressive in ogni nazione dove sono approdati, arricchendo tutti e, molto spesso, anche sé stessi. Questo metodo di inserimento vale ancora di più per i nostri ragazzi che si spostano per studio e lavoro a Londra, Copenaghen e New York: in teoria sarebbe provvisorio, poi ci restano perché piace a loro e loro piacciono alla società che li ospita, perché non impongono all'orchestra locale il loro modo di suonare la musica della vita. Accettano lo stesso partito degli aborigeni, magari calcando su certe note a noi congeniali, sopportando la presunzione specie degli inglesi. Non si fanno colonizzare, si intonano con l'ambiente senza annullare il proprio DNA. Ho dipinto un mondo da favola? Parlo dei risultati finali, consapevole che nessun processo di questo tipo avviene con la facilità con cui si beve uno sciroppo al tamarindo, e certo si producono scorie malavitose, ci sono state discriminazioni orrende, ma non risultano terrorismo di matrice italo-cattolica od omicidi rituali di ragazze napoletane innamorate di ebrei o luterani.

Il problema è invece a casa nostra. So che filosofi famosi hanno coniato termini colti come oicofobia (Roger Scruton, conservatore inglese) per definire quello che sta avvenendo nell'Europa svuotata di sé stessa e riempita di credenze altrui. Oicofobia vuol dire odio per la propria casa natale. Abbiamo interiorizzato il concetto per cui avere una casa che sia la nostra casa, con le nostre feste, e i nostri abiti sia una provocazione, un torto fatto a chi la vorrebbe tinteggiare e ristrutturare in base alle proprie credenze e costumi balenghi. Per cui la lasciamo sgomberare dai crocefissi e dai segni di una nostra appartenenza, riscriviamo il calendario lasciando sostituire le «buone cose di pessimo gusto» dalla cultura dello straniero. E nella vita sociale consentiamo che le liturgie e i ritmi quotidiani di religioni invasive diventino il calendario di tutti.

In Italia ancora non accade come nelle periferie di Londra, Parigi, Bruxelles, Malmö, Amburgo eccetera, dove in vasti quartieri a essere uguale per tutti è la sharia, cioè la legge scritta nel Corano, mentre le norme dei codici sono merda secca, e se vuoi vivere da quelle parti, o anche solo attraversare quelle strade o fermarti a comprare le sigarette, devi sottometterti (vedi il tragico e profetico romanzo Sottomissione di Michel Houellebecq). Da noi ancora non è così, ma è persino più insinuante il disegno. In quegli altri Paesi europei l'islam costruisce piccole repubbliche separate, da cui tenta scorrerie, in casi estremi persino terroristiche.

Da noi più che la pluriformità di comunità separate prevale piuttosto la bella intenzione chiamata «inclusività», che in italiano vorrebbe dire attitudine a comprendere l'altro, a includere nella famiglia. Ottimo. Il fatto è che sta accadendo che siamo noi a essere esclusi da noi stessi, a tagliar via quello che siamo. A lasciarci colonizzare persino interiormente.

Tutto questo, simbolicamente, lo si è visto nella decisione del disgraziato preside di Pioltello che ha trasformato il Ramadan in vacanza scolastica obbligatoria per tutti, elevando la festa islamica a precetto religioso universale, con la benedizione addirittura dell'arcivescovo, suppongo cattolico, di Milano, che ha benedetto l'iniziativa, senza neppure chiedere, almeno per cortesia, la reciprocità nei Paesi islamici di festeggiare tutti insieme il Natale.

Il preside del plesso scolastico ha agito nella certezza di essere un buon italiano dai bei sentimenti inclusivi e un bravo cristiano del nuovo tipo, aperto a rinunciare al presepio per delicatezza verso chi non lo ama, e a imporre il Ramadan, dato che il venerdì di magro è in disuso.

Io non sono felice di essere colonizzato e neppure coranizzato.

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