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Se il cibo diventa l'unica religione

Mangia che ti passa! Diciamoci la verità: il primo lockdown lo abbiamo affrontato in modo più elegante. C'era anche uno spirito patriottico che non guastava

Se il cibo diventa l'unica religione

Mangia che ti passa! Diciamoci la verità: il primo lockdown lo abbiamo affrontato in modo più elegante. C'era anche uno spirito patriottico che non guastava: appuntamento alle 18,30 (mi par di ricordare), bandiere tricolori alla finestra e inno nazionale seguito da altre canzoni cariche di pathos e di speranza. In fondo, con questo «canta che ti passa» mantenevamo la nostra dignità di reclusi con un'idea di alleanza sociale che possedeva un autentico valore culturale in una situazione così tragica e così nuova come quella provocata dal Covid.

E diciamoci anche un'altra verità: proprio quell'alleanza ci aiutava (almeno i miei amici e familiari) a mettere in secondo piano le lacune amministrative di un governo non eletto dal popolo, guidato da un presidente che con supponenza decretava e annunciava le sue fondamentali strategie, destinate a cambiare dopo qualche giorno. Ma sì, noi davvero resistevamo alle incapacità del Palazzo con i suoi improvvisati inquilini e cantavamo sperando nel talento degli scienziati e nello sguardo benevolo del Padreterno.

Sarà perché oggi ci siamo abituati all'immagine goffa e sudaticcia del presidente del Consiglio che dice e contraddice; sarà perché abbiamo capito che è meglio lasciar stare il Padreterno, avendoci detto i vescovi tedeschi (noi non siamo quelli che prendono ordini dalla Germania?) che è meglio non andare alla Santa Messa perché le chiese sono ricettacolo di pericolosissimi virus; sarà perché il talento degli scienziati sta dando i suoi frutti (mi si permetta di pensare che un'occhiata al loro lavoro è stata gettata dal Padreterno), e noi siamo quasi certi di vedere una luce in fondo al tunnel grazie al vaccino; insomma, sarà per tutto questo che abbiamo smesso di cantare e ci siamo messi a mangiare.

File interminabili di persone in coda davanti ai negozi di alimentari nonostante i prezzi dei loro prodotti saliti alle stelle; scambi di telefonate augurali con la fatidica domanda in apertura e chiusura: «cosa mangerete?». Proprio così: mangeremo a più non posso, non potendo fare altro, una grande abbuffata secondo ovvi criteri di disponibilità economica: dal caviale e aragosta alla pasta e ceci. Per di più da soli, o in ristrettissima compagnia. Come prevedono le regole governative: cioè un'alienazione grossolana che si sarebbe dovuta evitare. Semplicemente rispettandoci: manca soltanto che ci venga detto quello che dobbiamo mangiare dopo che è stato decretato con chi possiamo mangiare.

Siamo stati costretti a rinnegare il valore simbolico del Natale, il suo significato religioso e anche quella convivialità, quel «Natale con i tuoi», che rappresenta un sentimento profondo della nostra civiltà.

Bastavano regole certe fin dall'inizio e autorevolezza nel promulgarle: non si sarebbe arrivati a questa grottesca situazione che ha trasformato il Natale in una mensa più o meno ricca, attorno alla quale ci si deve sedere in pochi.

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