Caro direttore,
ho letto con grande attenzione le tue garbate critiche nell'editoriale che hai scritto ieri per il Giornale da te diretto. Vorrei rassicurarti, non è mia intenzione aderire a Fratelli d'Italia, la cui leader Giorgia Meloni considero un'amica, ma la cui cultura politica non è la mia. E, come hai ben scritto, l'offerta politica che oggi manca dal panorama italiano, e forse, europeo, non è certo quella sovranista, ben rappresentata e in ottima salute elettorale, ma quella a cui mi sento di appartenere da sempre, ovvero la cultura politica conservatrice e liberale, riformista e moderata. Cioè quell'anima profonda che fu il successo del Pdl all'inizio del decennio scorso.
Alla ricostruzione di una rappresentanza politica per quel blocco sociale che oggi si trova privo di riferimenti dovrebbero lavorare tutti coloro che si riconoscono in quest'area, oggi oggettivamente schiacciata e in difficoltà, credo anche per le molte e gravi responsabilità proprie.
E la prima responsabilità di gran parte della classe dirigente così detta «moderata» è stata, ed è ancora, quella di fare finta di nulla, di nascondere la testa nella sabbia, mentre milioni di elettori ci abbandonano, di non volere accorgersi del tempo che passa e del mondo che cambia pur di non mettere in gioco se stessa.
Pensare che le cose cambino comportandoci allo stesso modo è contro ogni logica, è una bugia che raccontiamo a noi stessi e ai nostri elettori.
Perché l'offerta conservatrice e liberale del centrodestra torni protagonista occorre avviare una serie di profondi cambiamenti di metodo e di merito. Per introdurre nuove idee servono spazi di dibattito, capacità di apertura al nuovo, meccanismi innovativi di aggregazione, selezione delle proposte e della classe dirigente.
Ho frequentato e frequento gli incontri di Fratelli d'Italia perché va dato atto e merito a Giorgia Meloni di essere stata la prima a lanciare l'idea di un centrodestra nuovo, che unisca anime diverse con strumenti di democrazia, insomma un'edizione 4.0 di quella grande forza che fu il Popolo della libertà, ma aperto a una reale competizione delle idee e delle persone. Vedremo nel prossimo futuro se Fratelli d'Italia sarà capace davvero di sciogliersi e aggregarsi a un soggetto più grande rinunciando a una parte della propria identità.
Sono convinto, profondamente, che la strada del futuro non sia riappiccicare i partiti del centrodestra con lo scotch durante le campagne elettorali, ma che serva davvero rifondare, dopo 24 anni, la nostra parte politica.
Devo sinceramente dire che questa mia convinzione non la riscontro nella gran parte della classe dirigente del mio partito, Forza Italia, che pure è il partito che ha pagato un prezzo più alto nelle urne alle ultime competizioni elettorali. Mi piacerebbe che partisse da casa mia una riflessione. Mi piacerebbe che fosse il partito che è stato per anni l'architrave dell'alleanza ad avviare questo cammino, a mettersi per primo in discussione. Ma purtroppo oggi non è così. Oggi Forza Italia appare come un vecchio impero che si culla nei fasti che furono, con un'aristocrazia incurante dei cambiamenti sociali e governato da una coorte che, ben lontana dall'eguagliare le virtù del fondatore, giustifica invece i difetti insiti nel sistema.
Attenzione, la mia critica non vale per il passato, non vale per ieri: tutti in Forza Italia siamo stati individuati e valorizzati dal presidente Berlusconi, che ancora oggi gode della stima e dell'affetto di tutti noi. Le mie accuse a parte della classe dirigente valgono per oggi e soprattutto per il futuro. Le mie accuse riguardano l'incapacità di mettersi in gioco, di chiedere al fondatore di potersi misurare democraticamente sulle idee e sui programmi. E non tra i pochi iscritti rimasti, ma con il mondo che c'è fuori: coloro che negli anni se ne sono andati, le liste civiche, la società civile. Quale Europa e quale dirigenza vogliamo a Bruxelles, che politiche sociali ed economiche servono al paese, quali rassicurazioni per una classe media che era il nostro elettorato e oggi, spaventata, cerca riferimenti altrove? E ancora è giusto fare deficit per rilanciare la crescita?
È sul confronto tra idee e personalità, davanti al largo mondo del consenso e attraverso i meccanismi della democrazia partecipativa, che possiamo costruire il futuro, abbandonando per sempre i caminetti e le cooptazioni.
Solo così si selezionerà una classe dirigente con idee in sintonia con quelle degli elettori. Serve insomma una costituzione democratica, almeno uno Statuto Albertino, non tanto, o non solo, per rinnovare la nostra classe dirigente, ma per rimettere in sintonia il nostro mondo con il mondo esterno, quello degli elettori.
Abbiamo gigantesche potenzialità, consiglieri comunali, regionali, parlamentari che hanno voglia di mettersi in gioco. Tanti sindaci civici che cercano nuove aggregazioni a cui dare il proprio contributo anche a livello nazionale. A questo voglio contribuire: alla ricostruzione di un centrodestra plurale, inclusivo, democratico e meritocratico che aspiri a candidarsi alla guida del paese. E, all'interno di questo centrodestra potere competere con le idee sovraniste attraverso il confronto e i meccanismi del consenso. Non sono certo io, caro Direttore a volere consegnare alle così dette idee sovraniste l'intero nostro campo. Al contrario, sono coloro che rifiutano i confronti e la competizione con i nostri alleati a lasciare che quelle idee rappresentino ormai quasi tutta la nostra parte politica. È arrivato il momento di metterci in gioco nella consapevolezza che per vincere una sfida bisogna mettere in conto anche di poterla perdere. Non è facile, lo so. È sempre difficile, come canta Battiato, trovare l'alba dentro l'imbrunire. Ma non esiste un'altra strada se non il cambiamento. L'alternativa è il declino e la fine di una storia che non merita di finire. E anche la fine di una classe dirigente che spera invano di salvarsi chiudendo porte e raccontando versioni di comodo ai militanti, agli elettori, al proprio capo e pure a se stessa.
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Caro governatore, pubblico volentieri questa sua risposta - come contributo al dibattito in corso dentro Forza Italia - alle critiche che le ho rivolto nell'articolo pubblicato ieri. Mi permetto solo di rilevare due cose.
La prima è che lei parla della classe dirigente del suo partito in terza persona, come di qualcosa a lei estraneo, quando invece ne ha fatto parte, e ne fa parte a pieno titolo o almeno così appare visto da fuori.
La seconda è che la sua mi sembra un'analisi eccessivamente severa nei confronti di chi - e mi riferisco innanzitutto al presidente Antonio Tajani
incaricato di riorganizzare il partito - sta comunque cercando, con fatica e coraggio, di riportare Forza Italia al centro della politica italiana ed europea. Comunque grazie e buon lavoro.Alessandro Sallusti
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