Se la politica dimentica il "modello Morandi"

l decreto "Rilancio" è una litania: 256 articoli e 464 pagine. È la summa teologica del Conte bis.

Se la politica dimentica il "modello Morandi"

Il decreto «Rilancio» è una litania: 256 articoli e 464 pagine. È la summa teologica del Conte bis. Ci sono voluti mesi di litigi e compromessi per battezzarlo. Come al solito è raccontato come qualcosa di biblico. La promessa è salvare tutti quelli senza speranza. Quello che manca è la cosa più importante. Manca l'aria.

È un decreto che vuole rilanciare l'economia ma con due dita ben strette al collo. La burocrazia non si tocca. Lo Stato in questo non cambia: non mi fido. In tutto questo tempo, anche nella maggioranza, si è parlato di «modello Morandi». Il ponte di Genova ricostruito due anni dopo il crollo come esempio da seguire. Perfetto. Solo che nel decreto di tutto questo non c'è traccia. Perché?

È fuori tema. Il rilancio non ha bisogno di aria. Arriverà, l'aria arriverà, ma ora è troppo presto. Bisogna aspettare. Serve un altro decreto, quello giusto. Per ora si va avanti trattenendo il respiro, andando giù, in profondità, con i polmoni alla Maiorca e le mani legate, con gli italiani costretti a sopravvivere con i trucchi di Houdini. Chi non ce la fa, annega. Chiude tutto e fa domanda per il reddito di cittadinanza. Che problema c'è? Lo Stato non ti lascia mai solo. Basta rinnegare lo spirito d'impresa. Aprire un negozio in questa stagione è in fondo un atto di arroganza. È presunzione. Molto meglio rassegnarsi al fallimento, tanto un modo per farti pagare le tasse, anche da morto, ci sarà.

Il governo magari è cieco. Non vede. Non sanno quello che fanno. Non è neppure così. Il motivo per cui il decreto è senz'aria è la paura. Non è questo il momento per discuterne. Lo fa capire Stefano Patuanelli, ministro dello Sviluppo economico, non un personaggio marginale. «Per cambiare davvero l'Italia - dice in un'intervista a Repubblica - per andare alla velocità che ci serve, per uscire da questa crisi, bisogna abbattere la burocrazia. E per farlo c'è un solo modo: fidarsi delle imprese».

Il ministro arriva a evocare una revisione profonda del codice degli appalti. «Non si tratta di abolirlo, ma di renderlo coerente con il momento che stiamo vivendo». È questo il punto delicato. Togliere la burocrazia non piace a tutti. Non piace in primo luogo ai burocrati, quelli che sono più forti della politica. Non piace ai «caporali», che si ritroverebbero senza l'arbitrio del potere. Non piace a chi per cultura è diffidente. Non piace a pezzi di maggioranza e di partito, compreso quello del ministro a cinque stelle Patuanelli.

L'aria, insomma, turba gli equilibri. Crea turbolenze politiche. Il governo, già debole, rischia di ritrovarsi a ballare. Non conviene.

Allora meglio rinviare. Solo che in questa storia il tempo è tutto. L'Italia non ne ha molto, per tanti motivi: finanziari, di economia reale, sociale, di sopravvivenza. L'aria, dicono, arriverà domani. Ma domani quando? Domani.

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