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Se questo è l'ecologismo, serve una cultura "no green"

Alla fine, per etichettare i vandali che deturpano le città, gli ambientalisti dovranno riesumare la definizione della sinistra per i terroristi rossi, compagni che sbagliano.

Se questo è l'ecologismo, serve una cultura "no green"

Ecologisti che sbagliano. Alla fine, per etichettare i vandali che deturpano le città, gli ambientalisti dovranno riesumare la definizione della sinistra per i terroristi rossi, compagni che sbagliano. Del resto, come allora, quelli sono solo i deficienti che credono e interpretano fino in fondo quell'ambientalismo dal quale nessuno può prendere le distanze. Oggi devi esserlo per forza, specie se sei un cittadino moderno, scolarizzato, con visione internazionale e una coscienza civica. A chi non piace cenare all'aperto senza respirare i gas di scarico? Chi vorrebbe riportare a un parcheggio Piazza del Popolo a Roma?

Poi però certe posizioni diventano estreme, tipo eliminare del tutto le auto dalle città, o imporre che siano solo elettriche, fino al divieto di vendere le abitazioni non green, di fatto limitando il diritto di proprietà. Allora si accendono le spie luminose, segno che qualcosa non va. Già, ma cosa? Sono scelte in linea con la salvaguardia del pianeta, com'è possibile che non siano giuste? È possibile da quando l'ambientalismo da posizione scientifica è diventato una religione integralista. Come tutte le fedi, non ammette distinguo, non prevede un contraddittorio. Chi dissente è fuori dal perimetro cool dei belli-e-buoni, che già nell'Atene di Pericle erano il modello. In fondo, manca una contro-narrazione basata sui dati scientifici che abbia la medesima dignità dell'ambientalismo radical chic.

Senza questa, chi si oppone rischia solo la figura del becero troglodita che resiste al futuro e all'innovazione, perché lo fa con elementi tattici, di poco momento, che non intaccano anzi rafforzano la religione green. Sono tre le obiezioni: è troppo presto, vanno salvati i posti di lavoro, servono finanziamenti per sostenere i cambiamenti imposti: tutti panni caldi e pure discutibili. Il tempo l'abbiamo avuto, i posti di lavoro non possono ostacolare il progresso e i finanziamenti sono debito, pubblico o privato, ma comunque debito. Il significato è sempre lo stesso e molto chiaro: non ho argomenti per sostenere che siano sbagliati i divieti e le imposizioni, allora chiedo la grazia di farmi vivacchiare ancora un po' e poi subirli con meno dolore.

Umiliante, sì, perché manca una cultura che affermi e sostenga le ragioni del diversamente green. Che l'Europa non è il problema, col suo 8% sul totale delle emissioni climalteranti, e di conseguenza non può essere la soluzione. Che molte soluzioni green peggiorano le emissioni, l'inquinamento e lo sfruttamento di risorse; se non da noi, altrove. Che il clima è globale e se Cina, India e tanti altri non fanno la loro parte, allora semplicemente non si può migliorare. Queste le ragioni di fatto e scienza. Poi c'è un aspetto sociale che va denunciato. Molti cercano di far passare, sotto l'etichetta del green, un generale dissenso per la vita di oggi in Occidente.

Mentre il resto del mondo ce la invidia e cerca di perseguirla, c'è chi vorrebbe la sua fine, la decrescita.

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