La vita vale più della sua qualità. Va controcorrente la Cassazione tedesca e in un mondo in cui si diffondono sempre più forme striscianti di eutanasia, sventola una bandiera politicamente scorretta: «L'esistenza va difesa ad ogni costo. La vita non è mai un danno». Non è una questione di accanimento terapeutico a meno di non intendere a fisarmonica questa espressione che tende a dilatarsi sempre di più. E infatti un signore aveva fatto causa al medico del padre perché il camice bianco aveva tenuto in questo mondo il genitore, colpito da una forma acuta di demenza senile. Non c'erano speranze di guarigione, però il dottore si era impegnato in tutti i modi ad ancorare a questa terra l'anziano malato. Così per cinque anni, dal 2006 al 2011, a dimostrare che non si trattava di un tentativo disperato di allungare magari di una manciata di giorni l'agonia di un paziente terminale, ma di qualcosa di molto più complesso. Una stagione dell'esistenza, piaccia o no, certo nel segno del decadimento e gonfia di problematiche e però, notano i giudici tedeschi, degna di essere vissuta fino in fondo. Una questione sottile e viscida perché oggi l'eutanasia si insinua fra le mille pieghe di malattie invincibili, di quarte età interminabili e complicate, di sofferenze non sempre arginabili. Non è facile distinguere, spesso la pietà copre come un mantello soffice tutti i dubbi e fa oltrepassare confini labili, tracciati sulla sabbia. Ecco, la sentenza tedesca fissa qualche paletto di civiltà. In assenza di un testamento biologico il verdetto spiega che «il valore di una vita non può mai spettare a persone terze». Insomma, non poteva essere il figlio o nessun altro impugnare le forbici e tagliare quel filo, per quanto esile e precario. Probabilmente, se il malato avesse dato disposizioni precise prima di sprofondare nell'incoscienza, sarebbe finita in un altro modo, ma la magistratura ha lavorato sull'assenza di disposizioni. E ha stabilito un principio: «La vita va sempre rispettata». E ancora: «La vita non è mai un danno».
Dunque, nessun risarcimento per il figlio che invece in primo grado aveva ottenuto 40mila euro da una corte di Monaco. Contrordine: la vita va oltre le nostre logiche e non può essere misurata con il metro della nostra sensibilità.
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