Questo governo non può preoccupare Kiev. Non ci sono cambi di rotta. Niente dubbi, nessuna fragilità. Non serve un atto di fede. Ci sono le scelte politiche di questi mesi a mostrarlo. È scritto. È storia. Forza Italia e Lega hanno votato e sottoscritto le scelte di Draghi. Giorgia Meloni, anche stando all'opposizione, ha alzato la bandiera dell'atlantismo. La realtà è che questa maggioranza dovrebbe rassicurare i nemici di Putin. Immaginate un governo spostato a sinistra, di improbabili larghe intese, magari incardinato sul Pd, ma con il corollario di alleanze rumorose e instabili, con i veti di Conte e la vocazione antiamericana di un Fratoianni. Sicuri che l'appoggio all'Ucraina sarebbe così netto? La politica estera italiana non è sempre lineare e le alternative in questo caso non è affatto detto che siano migliori. Al di là dei confini della maggioranza Meloni ci sono tante parole, vestali che si stracciano le vesti, indici puntati contro Berlusconi e tanta voglia di andare in piazza per favorire, consapevolmente o meno, il gioco di Mosca. Allora capita di ascoltare il leader dei Cinque Stelle mettere la maschera dell'indignato e chiedere la patente di euroatlantismo. «Mi aspetto un governo euroatlantico». Lui? Conte? Surreale. È lo stesso Conte che nello stesso giorno, nelle stesse ore, con la stessa faccia chiusa ai dubbi, dice senza scomporsi: «Riteniamo che non sia più necessario che l'Italia invii le armi all'Ucraina». Perfetto. L'importante è dirlo nel nome della pace. È questo il problema. La chiamano pace ma è un deserto. È il deserto dell'Ucraina e di chi non si sottomette a Putin. È la pace dove non c'è più uno straccio di libertà. È la pace di Fratoianni, che vota contro la Nato, ma non rinuncia a dare lezioni morali sul pacifismo a senso unico. Gli amici di Putin sono sempre dall'altra parte.
Le consultazioni di ieri sono diventate così uno spettacolo di arte varia dei professionisti della «preoccupazione». Preoccupato è Letta, preoccupato è Calenda, preoccupati i grillini, preoccupati verdi, rossi e gialli. Tutti improvvisamente preoccupati per Kiev. A parole.
Quale è però il gioco di Putin? Come fa la sua guerra? Dividendo l'Europa, il ventre molle dell'Occidente. Lasciandola al buio e al gelo e con la paura come orizzonte. È quello che si vede a Bruxelles, come una profezia, al vertice sull'energia. L'Europa non risponde, non trova una rotta, non si riconosce in uno stesso destino. Ecco nei fatti dove sono gli amici di Putin. È l'egoismo tedesco di Scholz e la furbizia ungherese di Orbán. L'uno e l'altro a boicottare il tetto al prezzo del gas, perché non conviene alla Germania, perché non conviene alla Russia, con Budapest come portavoce della strategia di Vladimir. Allora è qui il vero problema e non è fatto solo di parole.
È che davanti alle ritorsioni belliche di Mosca, una guerra di soldi e paura, l'Europa si dissolva. È quello che ha visto Draghi e lo spaventa. «Non posso accettare le conclusioni di questo vertice». E c'è tutta la delusione di chi vede questa Europa europeista solo a parole. Non è purtroppo un vizio solo italiano.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.