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Senza tagliare le tasse rischia di durare poco

È chiaro che la fiducia, come il consenso nei sondaggi, in questa fase non possa che aumentare per il governo

Senza tagliare le tasse rischia di durare poco

Il dato positivo di questa fine d'anno è l'aumento, secondo l'Istat, della fiducia di consumatori e imprese (da 98,1 a 102,5 la prima, da 106,5 a 107,8 la seconda): quindi, nel Paese si respira un'aria di maggior ottimismo. Il dato su cui riflettere invece è che - per la Cgia di Mestre - il fisco ha incassato nei primi dieci mesi di quest'anno 57 miliardi in più rispetto allo stesso periodo del 2021. Le ragioni sono molteplici, alcune pure comprensibili come l'inflazione, che ha aumentato l'introito delle imposte indirette, e la ripresa economico-occupazionale registrata nei primi dieci mesi. Detto questo, i soldi che passano dalle tasche dei cittadini all'erario sono troppi.

È chiaro che la fiducia, come il consenso nei sondaggi, in questa fase non possa che aumentare per il governo. Anche Conte, che di guai ne ha combinati tanti, ha avuto all'inizio un'accoglienza benevola. Il governo Meloni è in piena luna di miele con l'opinione pubblica e in più ha di fronte un'opposizione in condizioni disastrose. È anche vero, però, che le aperture di credito senza risultati hanno un inizio e una fine. Ragion per cui premier e ministri debbono immaginare obiettivi che ne marchino il profilo identitario. La legge di bilancio - per i tempi strettissimi avuti a disposizione e le ingenti risorse utilizzate contro il caro bollette - questi risultati, almeno nel testo che la Camera dovrebbe approvare, non li ha raggiunti. C'è stato un accenno di quello che potrebbe fare un governo di centrodestra ma nulla di più. Su argomenti come il reddito di cittadinanza e l'immigrazione l'attuale esecutivo ha cambiato filosofia rispetto al precedente. È indubbio. Solo che nei fatti ha riparato gli errori commessi in passato da altri governi per inseguire le politiche dettate dalla follia grillina o dalla demagogia buonista della sinistra. Ma la vera sfida per il centrodestra è un'altra: la questione fiscale. È quello il tema su cui la coalizione è nata circa trent'anni fa, su cui ha mobilitato il ceto medio e su cui si misureranno la capacità e la visione del governo Meloni. Francamente sull'argomento in manovra c'è poco, come c'è poco per il ceto medio: l'intervento sul cuneo fiscale non poteva essere più incisivo vista la penuria di soldi in cassa, né si potevano fare miracoli sulla flat tax, ma essere tornati indietro sulla cancellazione delle cartelle esattoriali sotto i mille euro non è stato un bel segnale. Sarebbe potuta essere, infatti, la premessa tangibile di quella riforma fiscale che il governo e la sua maggioranza evocano per il futuro.

Se ne è parlato molto in campagna elettorale. Ora alle parole debbono seguire i fatti. Inoltre la riforma del nostro fisco si porterebbe dietro la sburocratizzazione, la modernizzazione dello Stato e della giustizia. Perché è inutile girarci attorno: per diminuire la pressione fiscale, lo Stato deve costare meno. Non è possibile che le imprese debbano affrontare, ad esempio, una spesa di 57 miliardi solo per curare i rapporti con la Pubblica Amministrazione. È follia.

Mai come ora la riforma fiscale, con le sue conseguenze, potrebbe innescare un meccanismo virtuoso.

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