Quel simbolo di una nazione che non deve dividere

Di chi è il milite ignoto? Di tutti e di nessuno. Di chi lo ha pianto, certo. Di madri e padri che hanno perso un figlio in guerra. Di una madrepatria, quando c'è. Di chi se lo ricorda

Quel simbolo di una nazione che non deve dividere

Di chi è il milite ignoto? Di tutti e di nessuno. Di chi lo ha pianto, certo. Di madri e padri che hanno perso un figlio in guerra. Di una madrepatria, quando c'è. Di chi se lo ricorda. Di un tempo lontano, più di un secolo. Di una guerra disumana, dove tutti perdono. Di tutti gli altri morti che non hanno un nome. Di chi è sopravvissuto e non può dimenticare, di chi è rimasto un'intera notte «buttato vicino a un compagno massacrato, con la sua bocca digrignata volta al plenilunio». Di chi è rimasto.

Il milite ignoto, dopo un'altra guerra, si onora il 2 giugno, con una corona di alloro, sull'altare della patria, nel giorno della Repubblica. Solo che, giorno dopo giorno e anno dopo anno, non è rimasta che polvere, abbandonato alla sua solitudine. Il soldato senza nome dorme e non fa rumore. Non fa notizia. Non ha una divisa, un colore, una parte, una congrega, un'ideologia. Non sta né di qua e né di là, né con questi o con quelli, non ha le scarpe rotte e nessuna primavera, non canta giovinezza. Non rimpiange la trincea e non è clandestino. Non ha neppure una chiesa dove potersi confessare. È un fante, che in questa Italia ci ha davvero creduto. Ci ha messo il sangue, le ossa e la vita. Qualcuno laggiù nel mattatoio del Piave o dell'Isonzo gli avrà detto che un giorno questa guerra finirà e dopo sarà tutto diverso. Dopo, sì dopo, ci faremo il segno della croce e ci sentiremo un po' più umani. Quel dopo che non è mai arrivato.

Ti ricordi quel 27 ottobre del 1921? Eravate in undici, undici bare nella Basilica di Aquileia, tutte uguali, tutte in legno povero, senza segni, senza identità. Fu una Maria di Trieste a riconoscere la tua. Ci fu un lungo viaggio, di paese in paese, e per le strade lanciavano fiori, perché ognuno vedeva il quel feretro il suo morto. Eri davvero di tutti. Il corpo di tutti gli italiani. Per un giorno, o poco più. Nel frattempo i vivi si stavano già scannando. Nel nome della vittoria tradita o della rivoluzione, con le solite promesse. Soldi ai reduci, soldi a tutti e i torti verranno sanati, i desideri soddisfatti e la giustizia sarà giusta. Come no. La guerra è finita e c'è un Paese da ricostruire: più bello, più nuovo, più ricco, più sano, più onesto. Più libero, no. La libertà lasciamola ai morti, che non hanno paura. I vivi invece chiedono sicurezza. È sempre così, pure adesso. Domani ci sarà un'altra corona d'alloro. Tutta per te. Si sono ricordati. Ti hanno perfino dedicato qualche pagina sui giornali. La colpa, o il merito, è di Giorgia Meloni, perché ha chiesto di portarti un fiore. Non è stato possibile. Ti ha rivendicato, nel nome della patria, e allora altri si sono indignati: quel milite è nostro. È ricominciato il solito balletto: i morti tuoi, i morti nostri, i morti vostri, i morti loro. Vai a spiegare che i morti sono morti. La morte qui da noi è sempre senza pace. Finirà. Quello che ti salva è che non hai un nome. Sei nessuno.

Non sei famoso. Non appartieni. Quindi, che vuoi? Questa è una terra dove se non sei qualcosa praticamente non esisti. Da che parte stai? Dei morti, appunto. La realtà è che l'ignoto, un milite ignoto, mette sempre paura.

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